Le madri nere

Le madri nere

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Autore: Pascal Françaix

Fiaba allucinata e infernale, ambientata in una Francia fuori dal tempo, Le Madri Nere mette in scena un circolo di isteriche e rancorose figure femminili che ogni prima domenica del mese si ritrovano per lamentarsi dei destini dei loro figli perduti.
Sei donne inacidite, eternamente vestite a lutto, che si aggirano tra Dio e le anime perdute, in un vendicativo e spietato tentativo di rivalsa nei confronti del mondo.
Il piccolo Jacques, voce narrante lucida e paradossale, deve difendersi dalle fantasiose perfidie di una madre delirante che intende punirlo per essere sopravvissuto al gemello, e lo sottopone a ogni sorta di umiliazioni.
Françaix disegna un universo che richiama, con i suoi eccessi e le sue isterie, il nostro mondo in guerra: guerra contro la parola, guerra contro l’amore, guerra contro la vita. Una riflessione di grande attualità sul linguaggio e la comunicazione, sostenuta da una scrittura pulsante, tesa, senza sbavature.
Definito da molti, in occasione della sua uscita, uno dei migliori romanzi dell’anno, Le Madri Nere fa rivivere, con freschezza narrativa e tonalità visive che ricordano i Jeunet e Caro di Delicatessen, il mito del doppio e delle streghe cattive.


"Esistono rari casi in cui il lettore perde la distanza
da quello che sta leggendo e finisce col precipitare,
come Alice, nel mondo narrato del libro.
Sembra che alcuni romanzi possiedano tentacoli che spuntano
dalle pagine mentre leggi e che ti afferrano e ti contaminano la mente
e l'immaginazione. Così, quando li chiudi, tutto intorno a te è virato
e ti ritrovi a vedere il reale con una lente deformata.
Le Madri Nere
è uno di quei libri"
- Niccolò Ammaniti -



Autore

Pascal Françaix è nato nel 1971 nel nord della Francia, quel "paese piatto" che si è messo a scavare per trarne materia per le sue fantasmagorie. Dopo una puntata al conservatorio di Lille, che per un certo tempo lo ha portato a imboscarsi nei café-théâtre, e una lunga crisi di agorafobia, ha trovato nella scrittura un mezzo espressivo particolarmente adatto per dare libero corso alla sua immaginazione.
Non c’è dubbio che farà ancora parlare di sé.


Recensioni



Alias/il manifesto
11 Aprile 2000

L’inferno del vivere raccontato da Maurice, un ragazzino di campagna nella Francia tra prima e seconda guerra mondiale. L’inferno della scrittura, anche, magistralmente trasfigurato nella lotta del piccolo protagonista contro il demone di Jacques - l’altro gemello, morto soffocato dal cordone ombelicale - che vorrebbe imporgli la propria identità.
Scava a più livelli e lascia il segno questo romanzo dell’autore francese, scandito da una catena di supplizi che una madre pazza e un padre indifferente infliggono al bambino.
Maurice li registrerà quotidianamente in un diario segreto, obbligando il lettore a immergersi nell’incubo e a correre sui carboni ardenti, a ogni sussulto d’orrore, un sorriso amaro.
Geraldina Colotti


Amica
4 Maggio 2000

Anche i fantasmi stuprano Esistono rari casi in cui il lettore perde la distanza da quello che sta leggendo e finisce col precipitare, come Alice, nel mondo narrato dal libro. Sembra che alcuni romanzi possiedano tentacoli, del tipo di quelli de L’invasione degli ultracorpi, che spuntino dalle pagine mentre tu leggi e che ti afferrino e ti contaminino la mente e l’immaginazione.
Quando li chiudi, tutto intorno a te è virato e ti ritrovi a vedere il reale con una lente deformata. Un buon esempio può essere American Psycho di Brett Easton Ellis o Le particelle elementari di Michel Houellenbecq. Passano gli anni, ma quei libri continuano ad esercitare un’influenza, diventano pietre di paragone per le esperienze (non solo letterarie) che fai. Di questo genere è Le madri nere, un romanzo ambientato nella Francia degli anni Quaranta. Ci sono madri cattive che spezzano la vita ai figli, bambini che affidano segreti inconfessabili a un diario, fantasmi che stuprano, atmosfere cupe tra orrore e grottesco.
Niccolò Ammaniti


Diario
14 Luglio 2000

Un romanzo intenso e agghiacciante.
Ambientato nelle campagne francesi tra la prima e la seconda guerra mondiale, Le madri nere descrive le tormentate vicende di un bambino di tredici anni, costretto a subire continue torture e vessazioni da parte della madre psicopatica.
Ginette, donna ignorante e spietata, lo accusa di aver ucciso durante la gravidanza, strozzandolo nella placenta, il fratello gemello nato morto. Testimone impotente della violenza subita, il piccolo Maurice descrive nel suo diario ogni piccolo particolare della inutile crudeltà materna. Complici della madre un gruppo di donne, le Madri nere, unite in una sorta di società segreta, costituita per piangere i loro figli scomparsi prematuramente. Sullo sfondo del romanzo la figura del padre, falegname alcolizzato, totalmente passivo di fronte alla moglie, che sfugge nel vino e nel totale isolamento le frustrazioni della vita coniugale.
Proseguendo nell’odissea di sofferenze e umiliazioni si giunge al tragico epilogo, che, oltre a non lasciare praticamente superstiti, dà una spiegazione soprannaturale agli eventi. Pascal Françaix ha soli ventisette anni ed è già al suo quarto romanzo. Vive e lavora nella stessa Francia "piatta" descritta nel libro, fornisce una prova forte e convincente, riuscendo a costruire un universo claustrofobico nel quale qualsiasi violenza succede impunemente: non c’è limite e non sembra possibile fissarlo.
La ragione, il buonsenso, gli affetti vengono travolti in nome di un amore perverso e impossibile. Françaix narra con spietata chiarezza i drammi quotidiani consumati fra le anguste mura di casa. Ma senza enfasi, il suo stile è asciutto, consono alla staticità della situazione. Non c’è volontà di ribellione, la consapevolezza della propria sorte porta Maurice a una lucida rassegnazione. Neanche il dolore lo spaventa, vuole solo porre fine alla sua vita. Grazie all’ottimo lavoro di traduzione di Jacopo De Michelis, i termini dialettali diventano facilmente comprensibili, dando più verosimiglianza alle agghiaccianti argomentazioni della madre.
Il romanzo potrebbe essere ambientato nel Medioevo e nessuno si accorgerebbe della differenza, la dimensione temporale risulta infatti sfumata, propria dei sogni. A questa dimensione sospesa si contrappone la cieca violenza di Ginette e delle sue complici, irrazionali come la furia omicida, folli come la reiterata opposizione alle leggi di natura. Alessandro Bertante digilander.libero.it "Mi sono visto nello specchio del guardaroba, bianco come un sudario e con gli occhi infossati nelle orbite. Va’ a prendere una boccata d’aria, mi son detto, non lasciare che Jacques ti faccia star male, non lasciarti contaminare. È la sua collera che ti gonfia la pancia, non la tua.
Così sono andato alla finestra e ho aperto i battenti. Fuori la neve cadeva regolarmente, leggerissima e finissima, come se le nuvole si sbriciolassero sfiorando il tetto di casa. Il paesaggio era piatto e bianco come un foglio di carta da lettera, su cui Dio, forse, contava di scrivere un messaggio importante col suo dito gigantesco. L’aria era così fredda che pietrificava tutto quanto. Fin dove arrivava lo sguardo non si muoveva nulla, a parte i minuscoli punti bianchi che scendevano da nessuna parte e cadevano dappertutto. Si sarebbe detto che quella polvere gelata fioccasse dentro di me, che galleggiasse dolcemente all’interno del mio corpo vuoto. Che lo riempisse come una clessidra."

Ho riportato questo breve passaggio del romanzo del giovane Françaix per sottolinearne la prosa, semplice ed immediata, quasi didascalica, ma forte come un pugno allo stomaco. E lo stomaco del lettore viene sollecitato più volte durante la lettura da cui è difficilissimo staccarsi. Ma non tanto per la crudezza quasi splatter di molte (troppe) situazioni, quanto per l’angoscia e la sofferenza di essere catturati in un vortice di perversione e malvagità talmente reali da risultare a volte quasi paradossali (forse è solo una scusa per toglierci di dosso questa realtà scomoda e raccapricciante). Scritto sotto forma di diario, il romanzo racconta la vita familiare di un giovane quattordicenne, ambientata in un borgo francese nella seconda metà degli anni ’30. Una vita dura quella del giovane Maurice Dumont, venuto al mondo a scapito del fratello gemello Jacques (morto durante il parto strangolato dallo stesso cordone ombelicale) secondo la madre, mai più ripresasi da questa situazione che la rende ogni giorno che passa psicologicamente instabile (usando un eufemismo) e un incubo assurdo per lo stesso Maurice.
Tra un padre insensibile e ubriacone e una madre violenta e resa folle dall’odio per il figlio superstite a cui attribuisce paranoicamente l’omicidio del fratello e lo sottopone ad ogni genere di angherie (altro eufemismo), Maurice scarica su carta la sua depressione, il suo immenso dolore e lo stato inconcepibile in cui è costretto a vivere, guardandosi continuamente le spalle e nascondendo i suoi quaderni nei luoghi più impensabili per non subire ulteriori umiliazioni e punizioni.
Nel frattempo, la madre, assieme ad un gruppo di altre donne con dei recenti lutti filiali a carico, seppur in situazioni diverse, trama qualcosa di più della "solita routine" nei confronti del figlio, qualcosa di spaventoso che man mano porta Maurice ad uno stato schizoide, ad uno sdoppiamento di personalità, al confronto con la sua "metà oscura", con quel gemello mai nato che sente prendere sempre più il sopravvento dentro di lui. E poi… e poi bisogna leggere il libro per immergersi in questo terribile, cattivo, nerissimo tunnel che porterà all’unica via d’uscita possibile.
 Le Madri Nere è un romanzo che si legge in un fiato e da cui se ne esce estremamente colpiti e spiazzati, non tanto per il finale scontato, quanto per la cupezza, la malvagità e la rassegnazione che ne traspaiono. Françaix (ventinovenne francese con una lunga crisi di agorafobia alle spalle) ci va giù duro con questo "diario nero", ma talvolta la realtà può essere (ed è) molto più terribile e spietata di qualunque sorta di immaginazione.
Walter Giordani


il Gazzettino
13 Aprile 2000

Le "madri nere" si riuniscono in silenzio come le streghe in Macbeth: brutte, sciupate, inacidite dalla vita e dal dolore, eternamente vestite a lutto. Si ritrovano la prima domenica di ogni mese, per lamentarsi e interrogarsi, orfane dei loro figli morti troppo presto o mai nati. In una nenia di rosari che risuona potente come un canto demoniaco, si aggirano tra Dio e le anime perdute incapaci di accettare la realtà e la separazione. Ma soltanto una di loro, Ginette, ha scovato nell’odio l’ubica forma di resistenza alla vita.
È l’odio feroce e crudele contro l’unico figlio che le è rimasto, Maurice, colpevole di aver osato sopravvivere al gemello Jacques, morto di parto. Pascal Françaix non conosce le mezze misure: picchia duro, questo ventinovenne francese che due anni fa pubblicò il suo quarto romanzo, Le madri nere appunto, diventato in patria un caso letterario ed ora approdato in Italia grazie a Meridiano zero. L’incipit ferisce come una stilettata e calamita gli occhi alle parole: "È dura scrivere con la mano sinistra.
Eppure dovrò abituarmici, altrimenti la mamma sarebbe fin troppo contenta, e ho giurato di non darle mai più soddisfazione. È stato perché non potessi più scrivere le mie porcherie, come dice lei, che mi ha mozzato il pollice l’altra sera. Se sapesse che nonostante tutto io insisto, potrebbe benissimo ricominciare ad affettarmi. Non credo le seccherebbe.
Anzi, forse ci troverebbe il suo piacere. Ho visto la luce che le si è accesa negli occhi quando il coltello da macellaio si è abbattuto sul mio pollice tranciandolo di netto. Una luce cattiva, fredda, simile al riflesso della lampada sulla lama così ben affilata".
Il piccolo Maurice Dumont non può sfuggire alla sua favola infernale dominata da questa madre "nera" disumana, da un padre ubriacone ed assente e da un fratello-fantasma. Un fratello che la madre si ostina a cercare dentro l’altro figlio, e che il "sopravvissuto" teme con tutte le forze: "Si metterebbe ad aprirmi la pancia" se solo potesse immaginare che Jacques il morto "vive" dentro Maurice il vivo. Un romanzo che toglie il respiro, Le madri nere, e che esplode in una scrittura tesa, pulsante, essenziale, così terribilmente realistica da far rabbrividire. Ambientando la storia nella campagna tra la prima e la seconda guerra mondiale, Françaix riesce a dar voce alle angosce e ai tormenti del suo piccolo Maurice, torturato senza possibilità di scampo dalla madre che lo rifiuta.
L’unico sfogo, per il ragazzino, è affidare ai suoi preziosissimi diari, custoditi in una scatola di latta sotto la cenere della stufa a carbone, ogni terribile dettaglio della follia che lo circonda e che lentamente lo inghiotte. Françaix elabora la lezione del "Sosia" dostoevskijano, rende il tormento fisico, psicologico, morale, mentre la morte si insinua silenziosa in quella vecchia casa in mezzo ai campi come un ospite a lungo desiderato. Il piccolo protagonista si difende, ma sa di non avere vie d’uscita. La sua resistenza, tutta mentale, si erge contro la madre folle, immaginandola torturata da capi indiani o da pirati di passaggio, e contro il fratello-fantasma che si rifiuta di morire. "Un bagno ribollente di sangue e inchiostro", scrive nella prefazione Yann Moix, difficile da dimenticare.
Chiara Pavan


Linus

maggio 2000

Agghiacciante. E geniale. Leggendo questo potente romanzo del ventisettenne francese Pascal Françaix vengono in mente aggettivi così. Molto ben tradotto da Jacopo De Michelis e meritoriamente pubblicato dalla giovane casa editrice padovana Meridiano zero, è un libro particolarissimo, di quelli destinati a lasciare una traccia in chi legge.
La trama fa spavento anche a riassumerla: il piccolo Maurice, colpevole agli occhi della madra pazza di essere sopravvissuto al suo gemello Jacques morto al momento del parto, è costretto a subire ogni sorta di torture, dall’amputazione delle dita per impedirgli di scrivere all’iniezione di liquidi velenosi. Un crescendo di orrori resi ancora più insostenibili dalla perfida scelta dell’autore di far raccontare la vicenda direttamente dal protagonista. Assistiamo così in prima persona allo sviluppo di una forma di schizofrenia che ha del sovrannaturale e che non è difficile identificare come una metafora della lotta tra la furia dell’ignoranza e il potere della parola, baluardo inespugnabile dell’individualità e della ragione.
L’ambientazione claustrofobica, l’assenza di precise connotazioni temporali, la dimensione quasi mitologica dei personaggi creano un risultato di grandissimo impatto. Non so se il gotico psicologico sia un genere letterario esistente, ma se lo è questo romanzo ne è sicuramente un caposaldo. Matteo B. Bianchi


Mucchio Selvaggio
19 Settembre 2000

Si parte con una scena alla Lezioni di piano (il pollice della destra mozzato per punizione, per impedire alla mano di scrivere nonché di comunicare nell’unico modo ancora non censurato) e si prosegue con una favola nera che ricorda a tratti la Trilogia della città di K. dell’ungherese Agota Kristof: lì una vecchia strega senza cuore torturava mentalmente e fisicamente i due piccoli nipoti gemelli, fino a renderli insensibili al dolore e alla fame; qui una madre da incubo infligge al piccolo Maurice punizioni degne dei cani da rapina di Tarantino, per castigarlo dell’unica colpa di essere sopravvissuto al gemello morto durante il parto. In entrambi i casi, un grande quaderno a registrare le sevizie delle due cagne e gli esercizi di resistenza delle vittime innocenti.
Qui finiscono le analogie tra il romanzo della Kristof e il brillante esordio letterario di Pascal Françaix, che forse a tale lettura deve qualcosa dell’atmosfera cupa e allucinata della sua storia e delle numerose scene da grand-guignol, peraltro descritte col sangue freddo e la mente lucida di un ragazzino tredicenne che ha già patito tutto quello che c’era da patire: i deliri isterici materni e la codardia del padre, i fantasmi dei bambini morti e i riti funebri, le infinite punizioni corporali e la costrizione al silenzio… Il libro è bello, struggente, terribile, estremo nella violenza gratuita e implacabile che si abbatte sul piccolo Maurice, tanto da aver rammentato a qualche recensore bolge dantesche e inferni céliniani rigorosamente riprodotti in ambiente domestico.
Ma va anche letto come il diario intimo di un folle che, contagiato dagli isterismi delle streghe (sei donne orfane di figli mai nati o morti troppo presto), finisce per lasciarsi vivere e possedere dallo stesso fantasma di cui si affanna a negare l’esistenza. Un sapiente meccanismo narrativo regola la struttura del romanzo: all’inizio, Maurice appare come un narratore assolutamente attendibile, per quanto lo scarto tra violenza delle immagini e piattezza del tono del racconto conferisca al dettato un che di surreale; quando poi la sua voce, in un progressivo stupro psicologico ad opera del gemello morto, viene controllata da una forza esterna che lo induce a pensare, agire, scrivere e parlare come Jacques, la storia diventa imprevedibile e senza regole morali e/o narrative, fino alla conclusione paradossale che vede prevalere Maurice, o meglio la sua volontà, sul fantasma di Jacques a costo della propria stessa vita.
Con gli archetipi più antichi del mondo (la donna strega, il capro espiatorio, il mito del doppio, il padre assente, il sacrificio), con una certa propensione al macabro, e con una perizia narrativa che dissimula i suoi ventisette anni, Françaix mette in scena una visione cerebrale giustamente eletta a "punta di diamante" della casa editrice Meridiano zero (la stessa che pubblica Derek Raymond) e destinata a diventare Vangelo per molti aspiranti "scrittori creativi).
Maura Murizzi


Pulp n. 24
marzo 2000

I giovani. I cosiddetti giovani autori dovrebbero correre in libreria e prendersene una copia, leggerla d’un fiato e meditare. Non solo loro, ma anche quelli che, incluso chi scrive, hanno creduto che i colori del grand guignol si addicano ormai solo al kitsch scanzonato, quelli che si rotolano nelle miserie dell’organico per illuminarne la presunta metamorfosi nell’indistinta democrazia dell’inorganico. Noi, il racket delll’estremo, eccoci sistemati, per una volta. Intanto il ventisettenne (lui è giovane davvero) Pascal Françaix, brucia il terreno della consuetudine e alle contemporanee efferatezze dei non luoghi sostituisce coordinate temporali celiniane (Francia a cavallo tra le due guerrre, sarà un caso?), poi, le sue ’mamme’ non sono nevrotiche borghesi, piccole medie o grandi, ma fetidi zombie che allungano pretese dagli antri ottusi della cultura contadina. In questa monade spazio temporale ha luogo il lento martirio del piccolo Maurice, colpevole, agli occhi della madre, di essere sopravvissuto al gemello morto durante il parto. Vittima dell’orribile Ginette, fiera oppositrice dell’amore per la vita, al tredicenne non resta che affidare a un diario la cronaca delle illimitate perfidie materne.
E qui, sulle pagine sporche ora di latrina ora di cenere di stufa, il lettore familiarizza col grottesco candore dell’io narrante che, poste le premesse - l’ovvia naturalezza con cui vive la follia del suo universo - produce quello scarto di senso che si è soliti connotare con l’aggettivo ’surreale’. Ma attenzione, grottesco e surreale, elementi che fanno parte ormai della profilassi di difesa del lettore, convinto di potersela cavare senza alcun disagio, ci inoltrano in un mondo di ’serietà’ sconcertata.
Boris Vian cede il passo a un Gogol angosciato o a un Céline disarmato. Finché infatti seguiamo i ’sabba’ delle madri nere, chiuse nell’abietto narcisismo del dolore, possiamo ancora sorridere, ma poi, quando il corpo di Maurice diviene terreno di ’stupro’ da parte del fantasma del fratello, ci si avvede che Le madri nere non è un divertissement al sangue, ma una palpitante (e, scusate l’aggettivo, struggente) riflessione sulla parola, la lingua e la scrittura. Riflessione che non ha nulla di intellettualistico ma che lievita naturalmente dal corpo oltraggiato del bambino.
Ci troviamo così immersi in questo delirio parossistico a lottare con Maurice affinché Jacques non gli rubi la voce: sua identità residua e inalienabile; E partecipiamo, con stupore, alla guerra di chi non vuole più ’essere parlato’, di chi pagina dopo pagina col pudore di un tredicenne, ci ha raccontato come ’nascono’ le parole, di chi, una volta tanto, ci insegna a difenderle malgrado il corpo, malgrado tutto.
Ma non è un gioco, è la guerra. Silvia Arzola Sette/Corriere della Sera 8.6.2000 Maurice ha solo nove dita. La sua terribile mamma, che pare uscita da un racconto di streghe, gli ha mozzato il pollice destro per impedirgli di tenere un diario. Pascal Françaix, 27 anni, viene dal profondo Nord della Francia. Lì ha ambientato Le madri nere; un romanzo gotico campagnolo e macabro, molto più spaventoso di tanti incubi metropolitani.
Mariarosa Mancuso


il Sole 24 ore
14 Maggio 2000

A questo punto un occhio di riguardo anche per un giovane quanto promettente autore francese, Pascal Françaix, che Meridiano zero propone in Le madri nere, un lavoro fuori dagli schemi che vede alcune donne incontrarsi ogni mese per "raccontarsi" e confrontarsi. Ma soltanto una di loro ha un capro espiatorio, o presunto tale: un figlio, il cui unico torto è quello di essere sopravvissuto alla morte del fratello gemello, e che in prima persona si propone al lettore attraverso un diario i cui contenuti veleggiano sul sottile crinale che separa la realtà dalla fantasia.
Mauro Castelli

Da inserire:


Data di inserimento in catalogo: 18.04.2013.

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