Autore: James Reasoner
Il vento del Texas scuote i rami degli alberi mentre le foglie cadute danzano ipnotiche nell’aria.
Ritrovare Mandy, figlia di un ricco uomo d’affari di Fort Worth: questo è l’incarico di Cody. Investigatore privato, con un debole per i dipinti western di Frederic Remington, Cody è un uomo tutto d
’un pezzo, l’ultima bandiera di una terra che sta cedendo il passo a cactus artificiali, discoteche e corna finte di longhorn. Mandy era la cantante di un giovane trio che si esibiva nei locali texani. Potrebbe essere scappata con Jeff, il chitarrista del gruppo, anche se Lisa, la pianista, giura di no? O invece è stata rapita? Quello che era cominciato come il più classico dei casi di persona scomparsa assume ben presto colori più crudi. Fra macabri avvertimenti e pestaggi all’ultimo sangue, Cody si ritrova a fare i conti con uno spietato gangster della mafia locale, mentre compaiono i cadaveri e le pallottole cominciano a fischiare troppo vicine. Solo l’amore per Janice gli darà la forza di sciogliere i nodi di un gioco ormai mortale. Con uno stile teso e asciutto che ricorda Tobacco Road di Erskine Caldwell e una trama fitta di tranelli e sorprese, Reasoner racconta un superbo giallo a tinte noir, pescando a piene mani dalla tradizione americana.
Tratteggia un Texas intenso e spietato, molto vicino a quello di James Crumley, fondendo mito e poetica del quotidiano, onore e sofferenza, in un affresco vivido ed emozionante, intelligentemente sospeso fra ballata e melodramma.
"Uno dei primi noir ambientati in Texas,
e certamente uno dei migliori.
Un classico."
Autore
James Reasoner è nato e vive in Texas. È uno dei più prolifici e richiesti autori americani – con oltre 200 romanzi pubblicati a proprio nome o sotto pseudonimo – al punto da meritarsi una nomination agli Spur Award. Reasoner è altresì celebre come autore di mistery grazie al romanzo Texas Wind (Il vento del Texas), che con il tempo si è guadagnato lo status di romanzo di culto, vero e proprio must per collezionisti.
Recensioni
La forza di questo romanzo, pubblicato da una piccola casa editrice newyorkese nel 1980 e subito esaurito, a lungo introvabile oggetto di discussione tra fan e infine ripubblicato vent’anni dopo, risiede nel descrivere un mondo credibile – un mondo reale – al di là dei clichè del noir.
Il Texas di Reasoner, freddo e battuto dal vento, dove niente riesce a restare fermo e a crescere solido, emerge dalle sue pagine con forza e precisione, grazie a una moltitudine di minimi tocchi capaci di creare una struttura perfetta nella sua essenzialità e nella sua classicità.
Ma il Texas non si limita a essere mera scenografia: è l’orizzonte irrinunciabile in cui si specchiano in ogni momento i protagonisti del romanzo, impregnati della poesia e della tragedia del mondo che li circonda. Tragedia amplificata dalla verità dei personaggi che lo abitano, dal loro essere assolutamente umani, autentici nella loro disperazione, incomprensibili nella loro follia, modesti nella loro normalità. Questo romanzo, come fa notare lo scrittore Ed Gorman, riesce a raccontare "quello di cui la gente normale si occupa, senza cercare la tragedia a ogni costo", e nel farlo si allontana da quella tendenza, sempre più diffusa nella narrativa contemporanea, che cerca di portare nella letteratura i caratteri e le strutture narrative proprie della fiction televisiva.
Di fronte a tanta stereotipata finzione contemporanea, questo libro è una piccola gemma proprio perché si sviluppa all’interno della concreta realtà del delitto. Una realtà abitata da personaggi che non si propongono come calchi dal piccolo e grande schermo, ma che possono essere stupidi o acuti, poveri o ricchi, colmi di risentimento o paura, e che proprio nella loro esistenza quotidianea trovano la strada per scivolare nel delitto.
Il protagonista non è solo un investigatore alle prese con un caso da risolvere, ma un uomo che cerca di capire com’è possibile che nell’universo ordinato delle vite comuni faccia irruzione l’orrore, che cerca di aggrapparsi alla propria umanità, alla giovinezza, all’amore, per non sprofondare in un vortice di caos. Gorman ricorda una frase di Raymond Chandler, secondo cui il vero noir dev’essere in grado di soddisfare le aspettative del lettore anche in assenza dell’ultimo capitolo. Questo è senz’altro il caso di Reasoner, che conquista per la sua capacità di scavare in una storia e di raccontare l’odio, l’amore, la paura, la follia e il rimorso, mettendo il lettore di fronte alla parte più intensa della sua umanità.
«Questo è un libro significativo perché è capace di creare un mondo alla perfezione – quello del Texas – attraverso i suoi personaggi, la sua sociologia, e soprattutto la semplicità del suo protagonista, esponente della classe media lavoratrice. […] Nel Vento del Texas, Reasoner costruisce un mondo reale. La gente parla di soldi, di figli, di lavoro, legge certi libri, ascolta certa musica, guarda certi film.
I riferimenti alla cultura popolare fanno parte dello svolgimento della storia, sono le cose di cui parla la gente comune, senza scivolare in emozioni di portata wagneriana.»
Ed Gorman
carmillaonline.com
12 Novembre 2010
Scelta felicissima, questa ripubblicazione voluta da Meridiano zero (con una traduzione di Marco Vicentini), a suggello italiano di una storia editoriale che ha visto i suoi natali nel 1980, quando l’americana Manor Books ne curò la prima uscita e il libro andò esaurito ma non fu più ristampato.
James Reasoner ci concede a spizzichi saporiti e intensi un Texas di polvere sabbia e case, un Texas fatale, ventoso, dove niente è come sembra, fatto di basi militari, di colline che increspano l’orizzonte, di quartieri facoltosi, di casette omologate, di strade trafficate come la West Freeway, ma anche di posti sereni come il Trinity Park. Un luogo ormai ricucito a misura d’uomo ma, ciononostante, all’uomo ancora ostile. Un territorio, infine, che l’autore conosce bene in quanto luogo natio e di elezione.
La vicenda comincia come il più classico dei detective-story: una signora attraente della borghesia texana incarica il detective Cody di ritrovare Amanda, detta Mandy, la figliastra scomparsa. Un lavoro difficile, ostico, all’inizio quasi impossibile, che Cody riesce ad affrontare attraverso gli sbalzi degli imprevisti e i pestaggi all’ultimo sangue. Ma non solo. Ne leggerete delle belle.
Questo autore debitore a Chandler, autore di 200 romanzi, dei quali alcuni pubblicati con diversi pseudonimi, è cresciuto tra gli anni ’50 e ’60 con le pistole giocattolo e la qual cosa, come lui stesso ha dichiarato, forse non ha maturato del tutto il processo di crescita del suo "fanciullino" artistico, ma ha senz’altro amplificato la sua capacità narratrice: «…wasn’t enough to just run around the neighborhood pretending to shoot at each other. No, I had to make up characters and stories to go with the action and insist that we follow the plotlines I worked out. I was an insufferable little kid».
liberidiscrivere.splinder.com
22 Settembre 2010
Salve, James. Grazie per l’intervista e benvenuto su Liberidiscrivere. Ci racconti qualcosa di lei, ci dica chi è James Reasoner.
- Un narratore. Un texano a vita. Un marito e un padre. E non sempre in quest’ordine.
Il suo ambiente, la sua infanzia?
- Sono nato a Fort Worth e cresciuto in una cittadina dei paraggi. Ho avuto una normalissima infanzia. Mia madre era insegnante elementare, anche se ha smesso dopo la mia nascita, e mio padre lavorava nell’industria aeronautica, arrotondando lo stipendio come riparatore di televisori. Ho frequentato tutte le scuole in quella cittadina e mi sono iscritto al college con l’idea di diventare un bibliotecario o un insegnante. Ma in cuor mio già sapevo di voler fare lo scrittore.
Ha ricevuto qualche incoraggiamento in tal senso, all’epoca? E da chi?
- Non dai miei genitori, che a dire il vero non hanno neanche tentato di dissuadermi. Solo che pensare a qualcuno che volesse fare lo scrittore di professione, specialmente venendo da una piccola città del Texas, non faceva proprio parte della loro mentalità. Chi si mostrava più entusiasta erano i miei amici, alcuni dei quali inserivo nei miei racconti, anche se non credo che nessuno di loro mi ritenesse davvero capace di guadagnarmi da vivere scrivendo. La gente delle mie parti non faceva queste cose, ecco tutto.
Ci parli di Texas Wind, il suo romanzo d’esordio che soltanto adesso è stato pubblicato in Italia da Meridiano zero, con la traduzione di un grande appassionato del genere come Marco Vicentini. Ci ha lavorato molto? E da dove prende le sue idee?
- Ho cominciato a scrivere Texas Wind nell’autunno del 1978, terminandolo nel gennaio del 1979. All’epoca ero già un autore professionista da quasi due anni. Ho venduto il mio primo lavoro nel dicembre del 1976, pubblicando in quei due anni diversi racconti polizieschi per la Mike Shayne Mystery Magazine. Da molto tempo ero un appassionato lettore del genere – avevo iniziato con i gialli per ragazzi – e in particolar modo dei romanzi che avevano investigatori privati come protagonisti. Così, dopo aver scritto per la MSMM un paio di racconti lunghi in cui figurava Mike Shayne, firmandoli Brett Halliday (come da tempo era consuetudine della rivista), decisi che forse era arrivato il momento di cimentarmi in proprio. Com’è ovvio mi orientai su un romanzo con investigatore privato, e mi parve il momento opportuno per scrivere qualcosa di realistico sul Texas che non ricalcasse i consueti stereotipi.
D’altronde, per andare più sul pratico, gran parte dei romanzi del genere era ambientata a New York o Los Angeles: posti in cui non avevo mai messo piede. Però conoscevo Fort Worth come le mie tasche, avendoci trascorso tutta la mia vita, e non vedevo proprio cosa ci fosse di male ad ambientare il mio romanzo da quelle parti. Tutti i luoghi descritti e citati nel romanzo, eccetto forse un paio, esistono davvero. O esistevano a quei tempi.
È stato difficile trovare un editore? Ha ricevuto molte risposte negative?
- Come gran parte degli scrittori, ne ho ricevute eccome; o, almeno, sufficienti a farmi valutare l’idea di piantarla lì. Solo che poco dopo mi sono sposato, e mia moglie Livia Washburn (divenuta in seguito, e a sua volta, una scrittrice di successo) mi ha convinto a darci dentro con maggiore tenacia. Alla fine sono riuscito a vendere il mio primo racconto, come ho già detto, e da allora ho continuato a pubblicare con regolarità, anche se i rifiuti non sono mai mancati. Texas Wind inizia con il suo protagonista, Cody, che fa visita a un potenziale cliente. Una scena che ricorda situazioni analoghe nel Grande sonno di Raymond Chandler e in Bersaglio mobile di Ross Macdonald.
Quali autori, se esistono, hanno influenzato il suo stile e il suo modo di accostarsi al genere? Forse, e più di altri, James Crumley?
- Ai tempi del liceo e del college ho divorato qualunque romanzo hard-boiled mi capitasse sottomano. Hammett, Chandler e Ross Macdonald, certo, ma anche Richard S. Prather, Mickey Spillane, Brett Halliday (quando leggevo i suoi libri con Mike Shayne mai potevo immaginarmi che avrei finito per scrivere racconti utilizzando il suo personaggio), Michael Avallone e chissà quanti altri. Ma all’epoca no, di Crumley non sapevo niente. Ho scoperto i suoi romanzi solo dopo che ho iniziato a scrivere. È stato Joe R. Lansdale, di cui ero diventato amico, a raccomandarmi L’ultimo vero bacio, che resta ancora oggi uno dei miei libri preferiti, con uno dei migliori paragrafi iniziali di tutti i tempi, e da allora ho letto parecchi altri Crumley. Però non credo che la sua opera abbia influenzato più di tanto la mia.
Può dirci qualcosa in più su Cody, il suo protagonista?
- Cody – e dovrebbe trattarsi del cognome, visto che a tutt’oggi non ho ancora ben capito se abbia o no un nome – è una persona in gamba e per bene, ma sa anche mostrarsi duro quando la situazione lo richiede. È nato e cresciuto in Texas: un posto che ama, anche se non apprezza in maniera indiscriminata il modo in cui si è trasformato nel corso degli anni. Una delle mie battute preferite del libro è quando Janice scorre il dorso dei libri nell’appartamento di Cody e fa: «Prima d’ora non avevo mai visto Hermann Hesse e Zane Grey sullo stesso scaffale.» Non ricordo se l’ho mai detto prima d’ora, ma l’ispirazione per il suo cognome non mi è venuta, come sembrerebbe logico, da «Buffalo Bill» Cody bensì da Phil Cody, uno dei primi direttori di Black Mask prima dell’avvento di Joseph T. Shaw.
A differenza di New York e Los Angeles, Fort Worth non è una metropoli. Non è piccola, ma ha anche dei tratti semi-rurali e delle caratteristiche che la rendono unica. In che modo un’ambientazione come questa può influenzare una trama?
- Fort Worth lo ha fatto perché quando scrivevo il libro era ancora, per certi versi, una piccola città. Difficile perdere la strada nei suoi quartieri, all’epoca, e semplicissimo fare la conoscenza di chi ci abitava. Di uno come Cody, per esempio. In linea di massima era comunque un luogo che mi restava molto familiare e che non mi rendeva arduo scriverne con un certo grado di autenticità.
In Texas Wind lei descrive il tramonto del Texas di un tempo. Cody è una sorta di ultimo cowboy in possesso di una legge morale non scritta. Pensa che il rimpianto per il Vecchio West sia un tema rilevante del libro?
- Quando era ancora allo stato embrionale, Texas Wind avrebbe dovuto chiamarsi The Passing of the Buffalo. La prima immagine che mi era frullata per la testa era quella di Cody intento a osservare i dipinti esposti all’Amon Carter Museum e a rimpiangere la scomparsa del Vecchio West. Quindi sì, è vero, un senso di malinconia e di perdita occupa gran parte del romanzo. Il paragone tra il cowboy solitario della narrativa western e l’investigatore privato dei polizieschi non è certo nuovo, e io lo condivido in pieno. È un legame molto stretto. Se c’è una cosa di cui parla Texas Wind è proprio il fatto che tutto cambia, niente rimane mai com’era un tempo, buono o cattivo che sia. E questo è un tema che ricorre spesso nella mia opera, anche in maniera del tutto involontaria. Lei è un autore molto prolifico e ha operato in svariati generi: narrativa d’ambientazione storico-militare, western, poliziesca.
Qual è il suo terreno preferito?
- Per lungo tempo sono stato considerato soprattutto un autore di western perché è il genere che ho trattato più di ogni altro. Ma i miei inizi sono nel poliziesco; tant’è vero che, prima di scrivere una sola riga di narrativa western, avevo già venduto oltre quattromila cartelle di hard-boiled. Il poliziesco è quindi il mio primo amore, ma lavorare su un buon western mi fa sempre piacere. Mi ritengo un privilegiato, perché sono sempre riuscito a trovare qualcosa di buono in tutti i generi con cui ho avuto a che fare. Mi piace la varietà. Il genere è irrilevante, per me: quel che conta è tentare di mettere su carta una buona storia, robusta, con azione a palate e personaggi interessanti. Hammett o Chandler? Dovessi proprio scegliere direi Hammett. Ma li apprezzo entrambi.
- Qual è il suo preferito tra i libri che ha scritto? Uno solo? Impossibile. Posso limitarmi a tre: Texas Wind, perché è stato il primo e trabocca di un certo, grezzo entusiasmo; Dust Devils, un poliziesco di parecchi anni fa in cui mi ero riproposto di scrivere un romanzo pieno di sorprese e credo di esservi riuscito (e che ha anche dei buoni tratti stilistici, soprattutto verso la fine); Under Outlaw Flags, un romanzo storico che è in parte western e in parte di guerra (la prima guerra mondiale), perché sono molto soddisfatto della voce narrante che ho saputo impostare e perché mi sono divertito un sacco . Ah, anche perché mi ci sono infilato dentro come personaggio, nei passaggi di raccordo tra le varie vicende del libro.
Legge molti scrittori contemporanei?
- Sì, davvero tanti, e gliene fornirei anche un elenco, non fosse che mi seccherebbe – per dimenticanza – lasciar fuori qualcuno. Le mie letture si dividono in parti uguali tra la narrativa contemporanea, o abbastanza recente, e quella che risale all’epoca d’oro del pulp e dei tascabili, ovvero dagli anni Venti a tutti gli anni Settanta. Ha un consiglio per gli aspiranti scrittori? Leggere a manetta. Prima di riuscire a vendere una sola parola il sottoscritto ha letto centinaia, forse migliaia dei libri dello stesso genere che avrebbe poi finito per scrivere. E ancora oggi leggo più di cento libri l’anno, imparando sempre qualcosa di nuovo e scoprendo nuovi sistemi di mettere in pratica quel che ho in mente di fare. A volte mi capita di dire alla gente che soltanto adesso, dopo trentacinque anni nel mestiere, inizio ad avere le idee più chiare sulla mia attività. E c’è un’altra cosa importante: scrivere, scrivere e scrivere. Poi scrivere ancora e non fermarsi mai. Lo so, si tratta di consigli ormai classici, ma se sono diventati classici è perché funzionano.
Una domanda sull’attività quotidiana di uno scrittore. Ci descriva la sua giornata tipo.
- Inizio ogni giorno rileggendo quel che ho scritto il giorno prima, tagliando e perfezionando le varie parti ma, se del caso, riscrivendole senza pietà. Lavoro due o tre ore, poi vado a pranzo e riattacco per altre quattro o cinque. Il lavoro di ricerca e quello sulla trama occupano di solito le giornate che scelgo di non dedicare alla scrittura.
Lei è autore di tre romanzi della serie Walker, Texas Ranger. Ci parli di questa insolita iniziativa.
- Fu il mio agente dell’epoca a chiedermi, un giorno, se avessi mai visto la serie Tv. Guarda caso sì, perché i nostri figli ne erano appassionati e aveva finito per piacere anche a noi. «Oltre ad aver visto tutte le puntate,» gli risposi, «posso anche cantarti la sigla di testa.» Meno male che non gli interessavano le mie esibizioni canore… Comunque saltò fuori che una delle case editrici con cui pubblicavo aveva appena acquisito i diritti del personaggio per realizzare una serie di romanzi legati alla serie TV, che sarebbero stati affidati alle cure di uno dei miei editor di riferimento. E tutti quanti avevano pensato a me come all’autore ideale. Così ne parlai con Aaron Norris, il fratello di Chuck, e con un paio di funzionari della CBS a New York, e la decisione comune fu quella di assegnarmi l’incarico. Iniziai quindi a lavorare con il produttore esecutivo e con l’autore principale dei soggetti della serie, sviluppando alcune possibili trame per i romanzi. Non mi è mai capitato di conoscere Chuck Norris, e neanche di parlarci per telefono. L’idea iniziale per il primo romanzo era quella di farlo diventare una sorta di sequel di uno degli episodi, e per far questo mi spedirono la sceneggiatura relativa. Le trame degli altri due libri, invece, sono completamente mie. Per un certo periodo la CBS si gingillò con l’eventualità di trasformare il terzo romanzo in un episodio in due parti, ma poi non ne fece di nulla. Sono convinto di aver fatto un buon lavoro, con quei libri. A molti dei fan della serie Tv sono piaciuti e ad altri no, ma è la sorte comune a tutti i romanzi di questo tipo. E mi sono anche divertito, a scriverli; avrei continuato volentieri, ma chi aveva potere decisionale preferì chiudere dopo il terzo.
Cosa sta leggendo, in questo periodo?
- Una raccolta di racconti western di E. Hoffmann Price, Nomad’s Trail, pubblicati in origine su Spicy Western, una rivista pulp degli anni Trenta. È un volume che deve ancora uscire, e tocca a me scriverne l’introduzione. Aspetto solo di finire di leggerlo. Per concludere, la fatidica domanda.
A cosa sta lavorando?
- A un romanzo western che fa parte di una serie già sul mercato da tempo e che sarà pubblicato sotto uno pseudonimo che non posso svelare. Ma garantisco che si tratta di un’ottima storia, piena di azione e di personaggi pittoreschi.
a cura di Giulietta Iannone