Autore: Hugues Pagan
La provincia francese: plumbea, coperta di lividi, avvelenata. Un pugno di personaggi con le ombre addosso che vivono come insetti nella notte. Jacques Cavallier è un ex sbirro con un passato da dimenticare e una scia di sangue che imbratta ancora le orme dei suoi passi nella nuova vita di giornalista. Anita è l’amore, una donna bella e piena di fuoco che sembra regalargli una seconda possibilità.
Ma qualcosa di marcio riaffiora dall’acqua sporca di ieri. Jacques comincia a ricevere periodici versamenti di denaro da sconosciuti, si accorge di essere pedinato e diventa bersaglio di un killer sull’autostrada.
Il suo vecchio compagno Chess è probabilmente invischiato in un enorme affare di droga e ha fatto perdere le sue tracce. Jacques diventa così l’involontario obiettivo delle indagini della polizia, che cerca di fargli sputare quello che non sa, e la sua inconsapevolezza diventa un po’ alla volta una cravatta che rischia di impiccarlo. In fondo alla notte è il miglior Pagan di sempre.
Una storia che moltiplica le prospettive e si nutre di mille dettagli notturni e crudeli, fino a precipitare i protagonisti in una vertigine di violenza e tradimento che promette di travolgere come un’onda scura e affamata i contorni, labili e incerti, del bene e del male.
"Una bella lezione per gli autori di noir italiani"
- Valerio Evangelisti -
Autore
Hugues Pagan nato nel 1946 in Algeria, terra di cui conserva tuttora un ricordo abbagliante, Hugues Pagan "rientra in Francia per obbligo e vi rimane per necessità". Come molti pied noir vive un certo senso di sradicamento: un’irrequietudine che lo spinge a scelte radicali e apparentemente contraddittorie. Dagli studi filosofici all’impegno politico sulle barricate del Maggio francese, fino alla decisione, nel 1973, di entrare in polizia. Infine, a partire dal 1982, la letteratura: quasi un riflesso unitario delle proprie esperienze.
Già dal primo romanzo, L’ingenuità delle opere fallite, Pagan si mostra capace di esprimere - attraverso un registro tesissimo, in funambolica sospensione tra ridondanza e asciuttezza - quell’indomita fede nel realismo che obbliga la letteratura a farsi testimonianza.
Recensioni
Mouvements n.15-16, La Découverte
Ex ispettore nella polizia di Parigi, molto critico sul modo in cui quel lavoro viene svolto, Hugues Pagan è diventato una figura di riferimento nell’universo del romanzo poliziesco. Il sarcasmo e l’ironia celano un sentimento di ribellione alimentato più da ideali utopistici che da una semplice disillusione.
La tematica ricorrente della morte, con l’eroe "già morto prima ancora di morire", è alla base dei suoi romanzi. Questo tema è legato alla disillusione del lavoro di poliziotto o ci sono delle radici esistenziali più profonde?
- È vero, uno dei temi ricorrenti dei miei romanzi è la lenta agonia che precede la morte. E probabilmente non sono estranei i miei legami familiari con i gitani di Barcellona, un nucleo di persone che intrattiene un rapporto molto particolare con la morte, quella stessa perversione malsana che si ritrova nelle corride. Senza parlare del commissariato, dove questo tipo di frequentazione e’ praticamente quotidiana.
Ma la coerenza della critica sociale non viene spezzata dalla soggettività del disinganno, nella misura in cui la denucia della corruzione, della violenza o del complotto nella polizia passano attraverso il prisma della narrativa?
- Da una parte c’è il discorso politico, che per me non è mai cambiato, a partire dal ’68, e dall’altra una parte di fantasia, che oltrepassa questo aspetto e porta avanti la narrazione. Non è semplice, "tenere il culo su due sedie". Si tratta di conciliare un discorso coerente su una situazione sociale desolante e l’immaginazione nevrotica di un autore. Anni fa qualcuno mi aveva chiesto se non avrei fatto meglio a darmi al giornalismo, e io avevo risposto che ci sono già altri che lo fanno molto bene. Quando ci si muove partendo dal particolare, la sfida è di arrivare a una forma che abbia un senso universale. Questo si collega anche al mio legame con l’etica. Io non credo a una politica che non sia basata su un senso etico. All’inizio bisogna avere una morale senza compromessi. Come diceva Camus, citando Chamfort: "Bisogna essere generosi prima di essere giusti, proprio come bisogna avere una camicia prima di pensare ai pantaloni". È necessario avere un senso etico prima di quello politico. La nostra unica speranza passa attraverso l’etica. Purtroppo l’etica ha delle variabili e si può pensare, ahimè, che ci sia anche un’etica dell’indice di borsa. Non ne sono sicuro, ma è possibile. Credo di essere stato un scrittore punk anzitempo perché, pensando al traguardo finale, non si sa mai chiaramente dove si arriverà. Spesso mi viene rimproverato il nero assoluto dei miei personaggi, il mio pessimismo totale. Ma io descrivo solo la realtà, parto sempre da fatti e persone reali. E il mio lato artistico si sovrappone a questa realtà, la "veste". Il mondo con cui sono stato a contatto per anni è ancora più nero. L’etica del mio lavoro consiste nel riferire le situazioni nel modo più onesto e rispettoso possibile, sapendo che è necessario toccare le emozioni del lettore. Non voglio né educare, né insegnare. Se volessi farlo, allora mi sarei dato all’insegnamento. E anche fare il giornalista è un’altra cosa. C’è una posizione di ribellione sotto la mia ironia e il mio sarcasmo, che mi sembra la base portante di tutto il mio lavoro. Credo che in qualche modo la ribellione del mio personaggio susciterà l’adesione o il rifiuto da parte del lettore.
Bisogna che la gente si ribelli anche se non esiste ancora una soluzione ai problemi.
a cura di Patricia Osganian e Frank Frommer
macademia.it
26 Marzo 2009
Comincia da oggi, su questo sito, una nuova rubrica intitolata, inequivocabilmente, "Recensioni".
L’onore dell’inauguazione spetta a Hugues Pagan con il suo In fondo alla notte. Buona lettura. C’è un tratto che distingue la "buona scrittura" dalla scrittura: la capacità di gestire le parole, di farle risuonare dentro il lettore e di raccontare, contemporaneamente, anche storie molto diverse fra loro.
Ellery Queen – pseudonimo dei due cugini statunitensi Frederic Dannay e Manfred Bennington Lee – riusciva a inserire nei propri testi elementi sempre diversi e spiazzanti. Ne L’origine del male, del 1951, Ellery stesso – nudo ma con sandali messicani ai piedi – descrive con minuzia di particolari la vittima che ha davanti agli occhi.
Ogni termine è scelto con cura e l’illusione che quest’ultima sia una donna crolla solo quando il protagonista – con la semplice frase "Povera Hollywood!" – ci rivela che, in realtà, sta semplicemente rimirando la città dove ambienterà il suo prossimo romanzo. Hugues Pagan, fra le tante, ha perfettamente imparato anche la lezione di Ellery Queen. Non a caso, la prima descrizione femminile che ci riserva, a pagina 8 del romanzo In fondo alla notte, è quella di Dizzi Mae.
Analogo gioco ma differente protagonista: Dizzi Mae, infatti, è un’automobile. Ma ce ne accorgiamo solo dopo tre capoversi. Giochi di parole e riferimenti classici – e meno classici – sono solo due caratteristiche di quest’opera che non fa della sola competenza letteraria il proprio punto di forza. Anzi, da questa – innegabile – trae forza per raccontare una storia scomoda, nera e "vera" che riesce ad avvincere e a conquistare il lettore. Per chi ama il genere – e conosce l’ex poliziotto Pagan e i suoi precedenti lavori – alcuni punti della trama possono non destare troppa sorpresa. Ma non è un aspetto importante.
Anzi, paradossalmente, la mancata ricerca dell’effetto "a ogni costo" o dell’improbabile e continuo colpo di scena – per quanto non ne manchino sicuramente – è più un pregio che una mancanza. Le vicissitudini di Jacques Cavallier, anche lui ex poliziotto, si svolgono in un crescendo continuo di complessità e di consapevolezza. In una giostra vorticosa e incalzante di incontri, scontri e confronti sottolineati da un linguaggio duro e al contempo lirico.
Un linguaggio composto da frasi brevi e asciutte in grado di dare il senso stesso del "male" che circonda ogni essere vivente e dal quale la maggior parte delle persone che hanno deciso di affrontarlo, poi, non possono più sottrarsi. Ha perfettamente ragione – dal mio punto di vista – Valerio Evangelisti quando di questo stesso libro dice: "Una bella lezione per gli autori di noir italiani". Ma personalmente ritengo che per molti sia un esempio troppo difficile da seguire: Pagan parla di Cavallier ma racconta le proprie – vissute – esperienze.
Si illude e disillude con il proprio protagonista perché entrambi conoscono qualche cosa della vita che a molti di noi sfugge. Beve con lui alla nostra salute e ci sorride elargendoci, senza supponenza, qualche stralcio di una verità altra che possiamo solo supporre che esista. E che spesso neanche vorremmo conoscere. A metà fra il poliziotto e il romanziere, a metà fra la finzione e la realtà, Pagan e In fondo alla notte ci sanno colpire in pieno stomaco senza stordirci. Sanno esattamente quali sono le illusioni che ci costruiamo per vivere e su quelle stesse illusioni giocano.
E non solo con le "belle parole".
Fabio Fracas
milanonera.com
23 Luglio 2009
Jacques Cavallier è un ex poliziotto, con incarico alla Brigata Repressione Banditismo.
Ha lasciato l’Usine (come viene chiamata la stessa polizia da chi vi lavora) e ora, cinque anni dopo, si guadagna la vita come reporter di un quotidiano di provincia. Scopre che da Parigi uno sconosciuto, tale Zimmer, gli versa periodicamente sul conto corrente cifre da capogiro. Il tempo di chiedersi il motivo di tanta munificenza e il passato gli sbatte addosso con tutto il suo odore di vecchio. Prima Sonia, la sua ex moglie, gli chiede di cercare Chess, un loro vecchio amico comune scomparso misteriosamente.
Poi Sauvage, suo ex collega in polizia. Cavallier avrebbe altro a cui pensare. Anita, ad esempio. Ventenne di cui si innamora follemente (e altrettanto follemente ricambiato). Oppure Dizzie Mae, una Ford V8 a cui è attaccato come un marito geloso. Ma poiché la sua vita prende decisioni senza consultarlo, Cavallier si trova invischiato in giri sempre più pericolosi, che s’attorcigliano tra incidenti d’auto, attentati, sparatorie, aggressioni, traffici di droga. In fondo alla notte è un romanzo magnifico, tanto quanto memorabile suona il suo titolo in originale (Les eaux mortes, che forse poteva essere conservato nella traduzione dei tipi di Meridiano Zero per quella sua capacità intima di far apparire l’immagine delle acque stagnanti, ferme, immobili, ma pur sempre liquide). Poche balle: Pagan, lui stesso ex ispettore di polizia (abbandonata dopo aver denunciato la corruzione di un intero dipartimento), pied noir (come gli autoctoni chiamavano con disprezzo i francesi d’Algeria), cuore caldo nel maggio sessantottino, ha costruito un personaggio che, incontrando casualmente per strada Philippe Marlowe e Sam Spade (peraltro citati nel libro) si ritroverebbe con loro dentro i fumi di un locale a buttar giù qualcosa di molto forte. Ma, se Chandler e Hammett sono dei punti di riferimento, non meno familiare è il nome di Derek Raymond (e il suo sergente senza nome della A14, sezione delitti irrisolti), non fosse altro per quella inclinazione di Cavallier di camminare costantemente fuori direzione, sempre in bilico tra fallimento esistenziale e vitalismo che si alimenta a suon di nervi esplosi.
La sua disillusione trova spazio a ogni spuntar del giorno, ma fa sempre i conti con reazioni di allucinata lucidità, come se il profilo "certezze zero" fosse né più né meno che un naturale marchio esistenziale cui non necessariamente abbandonarsi supini. Il passato che bussa di nuovo alla porta e che scopriamo già seduto in salotto anche quando ci impegniamo a non farlo più entrare, la propria storia che torna a farci fare cose che mai e poi mai avremmo pensato di fare, atmosfera drogata da Gauloises come acqua quando piove, alcol che scende quasi per necessità, assenza di proiezioni future e, quel che più ci rende precario l’equilibrio, maree di dubbi sul presente: il catalogo è per spiriti forti. La capacità del noir francese di dare una maschera tragica al povero Cristo che si sceglie quale protagonista è in Hugues Pagan ai suoi massimi livelli. Lo stesso idem sentire dell’immenso maestro Jean-Claude Izzo e dell’altrettanto magnifico André Héléna. E senza neanche giocare in casa ambientando la storia a Parigi, una delle eccellenze in fatto di città noir. Ma nella provincia francese, sporca e ammanettata dal caldo.
Che però, se riusciamo a essere onesti con noi stessi, ci offre ancora un’ultima chance per sopravvivere.
Corrado Ori Tanzi
nonsololink.com
16 Marzo 2009
Di nuovo Hugues Pagan. Avere un suo noir tra le mani è sempre una gioia. Si legge come un romanzo, uno spaccato di vita, una commedia dei paradossi e delle genialità, eppure ha la cadenza altalenante del thriller, non ti accorgi nemmeno di quanto diventino pregnanti le sue parole. Chi legge Pagan ne è rapito e la dolcezza delle sue parentesi, accattivano pur senza entrare nella suspance classica. Le frasi cadono come accette e si centuplicano in paesaggi, dando al lettore quel quid di personale, del lettore e dell’autore, che generano un mix unico e indimenticabile. "Passava inosservata quanto una donna di facili costumi a un’asta di beneficenza". Protagonista della vita di un cronista ex poliziotto invischiato in una storia che non capisce (o che meglio non viene data capire al lettore) è Dizzie Mae, un’automobile.
Poi, lui, Jacques Cavallier, Cav per gli amici, si innamora di Anita, ma Dizzie Mae lo connota più di un identikit lo stesso. Precisa l’analisi di un gruppo di bulletti di periferia: "Cresciuti troppo in fretta in un mondo senza tenerezza, fra le crepe di cemento, fastidiosi come un mal di denti". Il genere non fa mai dimenticare a Pagan quel tocco poetico che si ritrova spesso nelle sue opere "…
il sole non aveva ancora asciugato le lacrime della notte sulle foglie e sull’erba…" e la scelta non è la classica pinza di molti giallisti di fama. Hugues sceglie un tono da analista della vita, ex poliziotto davvero che non ha dimenticato, nel disincanto della professione, che attorno le esiste una vita comunque più reale ancora della quinta poliziesca: "Sì, commissario, ho dei rimpianti. Ogni giorno, li ho…
Solo che, dai e ridai, si finisce per scoprire di sé qualcosa che non si dovrebbe… l’altra faccia della luna che ciascuno tiene nascosta chissà dove… sì, ogni uomo ha il suo limite, la sua linea di frattura… un giorno magari lei raggiungerà la sua… a volte, ci si rende conto soltanto dopo… molto dopo, quando è troppo tardi. E allora capirà che è sempre stato troppo tardi…". Macigni di filosofia di vita tratti dalla strada, dalla saggezza comune, dal vivere l’incubo di un proiettile che ha sforacchiato Dizzie Mae e non te, almeno per stavolta.
E frugando tra una barca a vela e un amore assoluto come quello per Anita, ricambiato, il lettore vuole sapere dove conduce la notte, chi è l’autore dei versamenti da duecentomila franchi sul conto di Cav. È vero che vogliono incastrarlo? È vero che lui è pulito? O è tornato nel giro, come pensano i poliziotti suoi ex colleghi? Quale giro, poi? Gli avvertimenti si moltiplicano, mentre Cav non ha voglia di lottare, o almeno non più. La nausea e l’assenza catatonica si avvertono pagina per pagina, mentre la vita continua a scorrere tra un’occupazione e l’altra.
Proprio come nelle vite reali. E allora, alla fine, cosa c’è che non va? Che la verità non si saprà mai? Ad esempio se Fabre aveva ragione o no? Il romanzo finisce bene, malgrado un’operazione al limite della vita, e la coppia Jacques e Anita prenderà il largo in barca. Ci viene dato a sapere, anche in questo caso non senza un po’ di mistero, che Anita aspetta un bambino e, con lui, un po’ di serenità.
Ma ci sarà, poi, serenità? Un ottimo romanzo ancora per i tipi Meridiano Zero. E, essendo l’ultimo per ora, di certo di Pagan il migliore.
Alessia Biasiolo
nonsolonoir.blogspot.com
19 Febbraio 2009
Jacques Cavallier, quarantacinquenne ex-agente della giudiziaria, un passato da dimenticare alle spalle, ha lasciato la polizia e si è imposto l’esilio in provincia. Qui passa le giornate scrivendo articoli di poco conto per un modesto quotidiano, e le nottate ascoltando vecchi LP della "Sun Records", andando in giro sulla sua vistosa Ford V8 e scolando bottiglie.
I colleghi del giornale già lo danno favorito tra i possibili successori dello stanco caporedattore Tellier; poi, un giorno, le ombre lunghe di un torbido passato, un passato da poliziotto di città dal grilletto facile e dalla dubbia moralità, offuscano la sua tranquilla esistenza da giornalista di provincia.
Una serie di ingenti versamenti bancari effettuati da uno sconosciuto, l’intempestiva visita di una vecchia fiamma e di un ex-collega, la scomparsa del vecchio Chess, ex-funzionario della giudiziaria, e un attentato ai suoi danni richiamano Cavallier all’azione, ma alla fine, a dargli la forza di riesumare l’automatica dal fondo di un cassetto, sarà l’amore per la bionda ventenne Anita…
In fondo alla notte, romanzo brevissimo, intenso e odoroso di polvere da sparo (senza per questo risultare pirotecnico nel senso spettacolare, fantastico e anti-realistico del termine) che mantiene, a dispetto di una visibile sproporzione tra l’avvio e lo scioglimento(1), un andamento ultra-serrato e inesorabile, erige la reticenza a sistema.
La narrazione in prima persona, fortemente interiore, retta più da un rimuginare continuo su un passato non detto, che su una chiara analisi del presente(2), rende la vicenda quasi impenetrabile fino alle ultime battute; il lettore, allo scuro della maggior parte dei fatti, non può che seguire il protagonista nelle sue incerte interpretazioni fino allo scioglimento finale. I retroterra politici "suggeriti" e mai "dichiarati", la corruzione e la tendenza al compromesso diffuse all’interno degli organi di polizia, abbozzate con pochi tratti, la dolente evocazione della tensione tra istinto e senso del dovere da parte di un personaggio che, una volta, in un passato remoto ma non sepolto, ha ceduto alla tentazione di "fare giustizia" piuttosto che "tutelare la legge", completano un romanzo misuratissimo e stilisticamente perfetto. Lasciamo che siano gli altri ad istituire facili paragoni tra l’esperienza dell’autore come ispettore della polizia parigina e la visione disincantata del mondo(3) espressa nei suoi romanzi; ormai sappiamo che il realismo letterario è frutto di uno sguardo particolare, non il risultato prevedibile a priori di una serie di eventi personalmente vissuti, e poi Pagan non ha bisogno di espedienti di questo tipo: i suoi intrecci e la sua prosa parlano per lui.
Fabrizio Fulio-Bragoni
(1)Le minacce fisiche ai danni di Cavallier iniziano piuttosto tardi e le scene di azione propriamente dette occupano uno spazio relativamente ridotto, eppure fin dalla prima visita del protagonista in banca, fin da quel "Martin non mi credeva. Il boccone da mandare giù era aspro come il fumo di quella sigaretta. La prima dopo quindici mesi." (H. Pagan, In fondo alla notte, Meridiano Zero), il lettore sa che il personaggio si trova sull’orlo del baratro; anzi, è proprio l’aria da catastrofe imminente che si respira, inspiegabilmente, fin dalle prime pagine, a conferire a In fondo alla notte gran parte del suo fascino da noir neo-classico.
(2)Che il lettore non si aspetti dei chiarimenti nel senso classico del termine, neppure sul finale (anche se l’autore non sa resistere a una piccola ricostruzione operata con le informazioni parziali reperite dal bonario Fabre): Pagan non fa sconti, e il suo protagonista non si sbottona mai. (3)Anche perché, ridurre il lavoro di un autore come Pagan ad una semplice ri-sistemazione della realtà equivarrebbe ad annullare completamente la dimensione meta-narrativa dei suoi romanzi (all’interno della quale il protagonista-lettore intradiegetico appare come versione realizzata del lettore extradiegetico: mentre questo si limita a fruire passivamente dell’opera d’arte, il protagonista modella la propria intera esistenza su basi letterarie), il suo gusto per la citazione, a trascurare la sua cultura letteraria, cinematografica e musicale.