Autore: Christian Lehmann
Il dottor Laurent Scheller credeva nel suo lavoro, aveva a cuore i suoi pazienti e amava profondamente sua moglie.
Una vita fa. Ora è uno scrittore di best seller e un’acclamata star televisiva.
La vita di tredici anni prima è un ricordo che il successo ha soffiato via. Finché una notte, al telefono, una donna, la voce rotta dal pianto, chiede il suo aiuto. Il suo vecchio amico Thierry Salvaing è finito in prigione con l’accusa di aver ucciso una paziente. Ma il Thierry che ricorda lui è un puro, forse anche troppo ingenuo, che del mondo ha ritagliato solo lo spazio di un piccolo nido per sé e la sua famiglia.
L’uomo che lo accusa è invece un arrogante barone della medicina, un intoccabile ipocrita le cui molestie sui pazienti e sui sottoposti sembrano essere al di sopra della legge. Per un divo della tv sembra così facile commuovere il pubblico, lottare per Thierry, ribaltare l’esito scontato di un processo in un trionfo che vada contro ogni previsione e aspettativa possibili.
Ma la ricerca della verità, il faccia a faccia con gli affetti a cui ha rinunciato, porterà Laurent sotto i riflettori di un’intera nazione, dove la troppa luce non risparmia in nessuno i germi del male.
E ciò che emergerà non farà piacere a molte persone, a cominciare da Laurent.
"Lehmann riveste elegantemente il noir con un camice bianco."
- Le Figaro -
Autore
Christian Lehmann nasce a Parigi nel 1958. Diventa medico generico nel 1985. Da allora affianca la sua professione con quella di scrittore e giornalista. Oltre a essere autore di gialli e noir è un apprezzato scrittore per bambini.
Recensioni
Bresciaoggi
29 Ottobre 2009
La deontologia di un medico star e un Macbeth detective
La deontologia del medico e la manutenzione del dolore del malato, lo strapotere delle case farmaceutiche e le connivenze omertose del sistema medico-ospedaliero, le luci della ribalta mediatica e il cono d’ombra della provincia in cui vive la gente comune. Sono temi sensibili quelli che vengono trattati ne Il seme della colpa di Christian Lehmann, medico francese con la passione della scrittura e della denuncia "dal di dentro". Non a caso anche il protagonista del suo romanzo, Laurent Scheller, è un medico-scrittore che è diventato anche una star televisiva. Solo che la sua vita da un po’ di tempo segna il passo. La popolarità ha subito una flessione a causa di un tracollo dell’audience, la moglie lo ha lasciato e lui si trova in mezzo al guado, in attesa di un rilancio. Finchè una notte una telefonata riattiva il suo interesse.
È Béatrice, moglie di Thierry Salvaing, un vecchio collega di Laurent, un medico di famiglia che ha scelto l’onesto servizio professionale e non la carriera degli onori. Thierry è in galera con l’accusa di aver provocato la morte di una paziente terminale – un caso di eutanasia, insomma – e Béatrice non sa a chi altro rivolgersi se non all’amico famoso quanto disperso. Laurent, che fino a qual momento aveva tagliato i ponti con il suo passato, decide di andare in soccorso e di giocare nel contempo un doppia partita: da una parte sposa la causa di Thierry, rivelando alla stampa e alle televisioni come sia in atto una sorta di persecuzione giudiziaria; dall’altra tira la volata a se stesso, rimettendosi in vetrina.
Il romanzo, breve ma denso, smaschera i guasti della malasanità, le baronìe della medicina, ma soprattutto getta uno sguardo alla palude dell’anima. Non esistono percorsi netti nelle esistenze degli uomini, ognuno è costretto a convivere con le miserie e i compromessi, a cominciare proprio dal protagonista che è voce narrante e portatore sano di sgradevole mediocrità.
Il merito di Lehmann è proprio quello di inficiare appunto la credibilità del testimone.
Nino Dolfo
cinemadadenuncia.splinder.com
24 Settembre 2009
Medico televisivo e autore di bestseller attualmente in crisi di popolarità, il dottor Laurent Scheller confida di tornare in auge grazie al progetto di un nuovo programma proposto al direttore della Rete. Ma una sera riceve una telefonata sconvolgente: è Béatrice Salvaing, moglie dell’ ex collega e amico Thierry, che implora il suo aiuto per far uscire di prigione il marito.
L’accusa che grava sulla testa del medico di famiglia Salvaing è di quelle da prima pagina dei giornali: eutanasia. Anziché ricorrere alle frasi di circostanza e assicurare un intervento a distanza per mobilitare l’opinione pubblica, Laurent sale in macchina e si precipita da lei a Villers (nelle Yvelines). Riuscirà a togliere dai guai l’amico?
La sua già pericolante carriera televisiva ne risulterà danneggiata? Se amate i libri che attingono all’esperienza vissuta dall’autore, Il seme della colpa fa per voi. Medico generico dal 1985 e apprezzato scrittore per bambini, Christian Lehmann (classe 1958) è difatti un autore che trasfigura in forme letterarie la sua conoscenza diretta del sistema sanitario francese, lasciandola trasparire in filigrana.
Perché in filigrana e non in primo piano? Essenzialmente per due motivi: in primo luogo perché, come ogni scrittore che si rispetti, Lehmann non sacrifica l’elaborazione letteraria sull’altare della veridicità e, in secondo luogo, perché sa che per evitare la spettacolarizzazione dell’argomento scottante e per renderlo intimamente efficace occorre agganciarlo a un tema di più ampia portata che sia in grado di avvolgerlo e assorbirlo. Fate attenzione al titolo originale: Une question de confiance, una questione di fiducia.
La traduzione italiana, Il seme della colpa è il primo depistaggio di un romanzo che si nutre di inganni e apparenze, presentandosi come un noir medico per sferrare un attacco ben più radicale e mirato alla cosiddetta "civiltà delle immagini". Se è vero che l’eutanasia e il clientelismo sanitario costituiscono i punti caldi della storia, è altrettanto vero che la celebrità televisiva e la manipolazione mediatica ne rappresentano i temi strutturanti: per il dottor Scheller la prima preoccupazione non consiste nel sapere se il vecchio amico ha praticato o meno l’eutanasia, ma riguarda la strategia da adottare per seminare dubbi nell’opinione pubblica e conquistare il consenso televisivo ("la scatola magica").
Animale mediatico scisso tra meschinità privata e rispettabilità pubblica (la sua coscienza interviene come se fosse la voce di un altro), Laurent organizza la realtà esclusivamente sulla base di immagini: incalza lo sprezzante primario Grenier ripensando a un dialogo di Guardato a vista di Claude Miller e mette a segno un’intervista trionfale grazie a un collegamento suggerito da un film del 1975, I baroni della medicina di Jacques Rouffio. Un uomo di immagini.
All’estremo opposto si collocano i personaggi positivi della vicenda: l’amico in carcere Thierry (la cui integrità è "trascritta" nella coscienziosità delle sue cartelle mediche e nelle rabbiose annotazioni sulla cartella infermieristica dell’agonizzante Adèle) e soprattutto Daniel, l’amico del cuore morto due anni prima lasciandogli un’eredità morale fatta di carta stampata (uno scomodissimo dossier contenente le prove della tossicità di alcuni medicinali da banco). Ma è proprio nella scelta di affidare il ruolo del narratore a un individuo moralmente ambiguo e psicologicamente volubile quale Laurent che Il seme della colpa schiva il manicheismo.
Sotto l’apparenza esteriore (come se ogni carattere portasse una "lanterna magica" incorporata) quasi tutti i personaggi agiscono secondo la medesima logica calcolatrice: non soltanto l’altezzoso Grenier che si occupa dei pazienti per "interpretare il suo ruolo di grande primario" o il temutissimo Besnard che dirige cinicamente la programmazione della Rete (l’ovvio riferimento è a TF1), ma anche Béatrice Salvaing, che ripaga con una prestazione erotica l’aiuto familiare di Laurent, e perfino l’ottantatreenne Lucienne Angelin, che va in brodo di giuggiole quando si tratta di avere il suo quarto d’ora di celebrità televisiva. Mirabilmente reso dalla traduzione di Giovanni Zucca, lo stile scorrevole e levigato di Christian Lehmann ritrae questo universo di civile opportunismo e vellutata malignità giocando sulle sfasature minime (una parola di troppo che lascia indovinare un’intenzione, un gesto che tradisce un’emozione) e sulle sfumature psicologiche (la tendenza di Laurent a rimpiazzare Thierry nella sua vita professionale e affettiva).
Fulminei tratti paranoici e secche notazioni tecniche ombreggiano episodicamente la narrazione: una scrittura che frequenta con sicurezza le tonalità del grigio senza disdegnare improvvisi oscuramenti o spiazzanti riproposizioni di interi passi, come quello che descrive l’ultimo incontro tra Laurent e Daniel in un ristorante sopra Biarritz (ripetuto a distanza con "varianti di montaggio").
E c’è anche spazio per un gustoso private joke: a pagina 97, Laurent è sul punto di addormentarsi davanti all’ennesima replica di un poliziesco di Yves Boisset. Scommettiamo che si tratta de La tribu, il film che Boisset ha tratto dall’omonimo romanzo di Lehmann del 1990?
Alessandro Baratti
lankelot.eu
12 Settembre 2009
Eutanasia, complesso di colpa di chi ha avuto successo, turbolento rapporto con le proprie origini sono gli assi portanti di questo romanzo del medico e scrittore francese Christian Lehmann, Il seme della colpa, pubblicato da Meridiano Zero nell’autunno 2009, a sette anni di distanza dalla prima edizione francese (Une question de confiance, 2002: letteralmente, "Una questione di fede").
È uno strano ibrido tra un giallo – ma come giallo è abbastanza blando, la trama non è imprevedibile; gioca tutto sull’introspezione del protagonista, e giustamente – e un romanzo esistenzialista. Laurent, medico, è diventato uno scrittore di successo e una star della televisione francese. Il suo vecchio amico e collega Thierry è rimasto uno dei pochi medici di famiglia della cittadina di Villers.
Adesso è sotto inchiesta: eutanasia. Si sta sollevando un polverone. E così Laurent torna a Villers, la sua madrepatria, per dargli manforte. E per ritrovare qualcosa di sé stesso, probabilmente. Per prima cosa, lo sostituisce in studio: dopo tredici anni, ricomincia a fare il medico generico, ritrovandosi surclassato da tutta una serie di innovazioni amministrative e burocratiche che lo spiazzano e lo disorientano. Man mano, si sente felice: ha voglia di celebrare il ritorno del figliol prodigo, del medico che un tempo era stato (p. 28) e che s’accorge d’essere rimasto. E ritrova il ragazzo che sognava l’amore, e che invece non ha avuto altro che storielle, ed è stato contento di quella stupida leggerezza: bruciando, strada facendo, un matrimonio. Senza troppi pentimenti. Era uno che s’illudeva che tutti i vecchi amici sarebbero rimasti sempre al loro posto, "che avrebbero continuato all’infinito ad andare su e giù per le statali e per i corridoi della rianimazione" come aveva atto anche lui, tanto tempo prima. Ma era uno che i vecchi amici li aveva traditi. Comportarsi bene con Thierry significava riscattarsi, in un certo senso.
Non solo ritornare sui propri passi. Nel frattempo, Laurent "indaga", diciamo così.
Cos’è successo a Thierry? Un altro dottore lo ha accusato di aver fatto qualcosa di sbagliato. Laurent è convinto che non sia vero niente. E in ogni caso, vuole difendere l’amico. L’eutanasia è spesso un atto di umanità: non c’è niente di amorale o di ingiusto, è soltanto che le leggi europee non sono ancora state adeguatamente aggiornate, punto. Lasciar morire chi non ha più nessuna speranza di guarire, e se ne va agonizzando giorno per giorno, senza più riuscire a camminare, a mangiare, a dialogare, è una questione di civiltà e di amore.
Chi c’è passato non ha dubbi. Lasciateci morire in pace, quando è il momento. Laurent non ha mai amato il primario dell’ospedale, Grenier; si ricorda bene che aveva la coscienza sporca per tre o quattro strani decessi. Si sbriga subito a ricordarglieli, al primo incontro: giusto per stabilire le distanze e per avvertire che Thierry non va toccato. Nel frattempo, bada allo stato d’animo della moglie del suo amico e dei suoi figli, come può, e valuta una nuova opportunità di lavoro per tornare in televisione. Lo scandalo che sta ferendo Thierry potrebbe, paradossalmente, restituire linfa alla sua carriera. Il destino è una questione di prepotenza, certe volte.
La morte dolce protagonista del romanzo è una questione – Welby insegna – di civiltà, ribadisco, e di sensibilità. Rivendicarla come un diritto per ognuno di noi è sacrosanto, giusto e normale. "Normale" è l’aggettivo più corretto. Se l’intento di Lehmann era ricordarci tutto questo, mi sembra che l’artista sia riuscito nell’impresa. È un romanzo sulla pietà che possiamo e dobbiamo avere per chi ci abbandona, per chi indietro non può tornare: sperando di riuscire ad averla anche per noi stessi, un giorno, o che qualcuno sappia averla per noi.
Quando la vita non è più vita ha senso assecondare la natura, e spegnere le macchine. Il lutto è un fatto privato e non comunicabile. Un medico che decide di accompagnare nell’aldilà una sua paziente ormai incurabile, agonizzante e muta, spezzando per sempre le sue sofferenze, è un uomo buono, e non un boia. Non siete d’accordo? Io sono con quel medico.
Gianfranco Franchi
liberidiscrivere.splinder.com
18 Novembre 2009
Benvenuto Christian su Liberidiscrivere e grazie per aver accettato la mia intervista.
Raccontaci qualcosa di te i tuoi studi, il tuo background.
- Sono un medico di medicina generale dal 1984 nella regione di Parigi e sono uno scrittore, il mio primo romanzo è stato pubblicato nel 1988. Raccontaci qualcosa del tuo esordio. La tua strada verso la pubblicazione.
- Ho sempre scritto sia da bambino che da adolescente perché amavo raccontare storie. Arrivato all’età di scegliere una carriera mi sono accorto che non avevo niente di speciale da dire sul mondo e ho messo da parte la scrittura per dedicarmi alla medicina. Senza che me ne accorgessi la medicina ha fatto di me uno scrittore.
Ti ispiri ad avvenimenti reali quando scrivi le tue trame?
- Probabilmente si ma resta un mistero per me. Credo che per ogni scrittore sia così una storia nasce lentamente la si costruisce per strati.
Quali autori ti hanno influenzato?
- La lista è lunga vorrei ricordare Howard Philips Lovecraft, Philip Roth, Henry Miller, Lawrence Durrell… alcuni autori francesi.
Raccontaci qualcosa di No Pasaran: Le jeu.
- È il mio primo romanzo pubblicato in gioventù, un successo internazionale totalmente inaspettato. Attualmente in corso di adattamento in fumetti. Sei molto coraggioso nella tua denuncia dei mali del sistema sanitario contemporaneo in Francia. Puoi dirci qualcosa sul tuo impegno?
- Coraggioso? Ah se solo fosse sufficiente a cambiare il sistema. No oggi ritengo di essere sul belvedere del Titanic e vedo l’iceberg molto prima della collisione, è inutile angosciarsi prima degli altri, in un sistema dove il potere politico è nelle mani di gente totalmente e fondamentalmente incompetente, le questioni finnazierie dominano e il sistema dei media è bloccato così come avviene in Francia. Sei uno scrittore molto impegnato sensibile ai temi etici e sociali.
Perchè hai scelto il genere noir?
- Perché il noir permette di esplorare la natura del male e le menzogne in cui viviamo. Riguardo a Une question de confiance più che un noir hai forse voluto scrivere un romanzo sulla solitudine? Tutti i personaggi sebbene in maniera diversa sembrano così soli. Ho voluto esplorare l’evolvere del personaggio principale, un uomo che ha tradito i suoi ideali di gioventù, ma richiamato dai suoi vecchi amici è sommerso dai ricordi di un tempo ed è in bilico costantemente sul filo: agisce in risposta a cosa ci si aspetta da lui e ci sono momenti in cui può essere considerato persino un eroe poiché agisce contro il proprio interesse anche se questo agire onesto è forse solo dovuto al fatto di non volere rovinare l’immagine positiva che gli è stata restituita in modo imprevisto.
Hai visto la copertina dell’edizione italiana de Il seme della colpa di Meridiano Zero? Non è un immagine perfetta per riassumere il senso profondo del libro?
- Personalmente mi ha ricordato le marine del pittore italiano Sandro Luporini. Purtroppo al momento tu sei l’unica persona che mi ha informato dell’esistenza fisica del libro. (Sorride).
Altri progetti per versioni italiane dei tuoi libri?
- Non è nelle mie mani…
Che cos’è per te il noir?
- Come avviene per molti altri scrittori il noir è sempre più solo una scusa per parlare di altre cose dell’uomo, della società, della provincia, delle nostre paure distanziandosi dagli stereotipi di genere. Il noir come ha detto Robin Cook esplora la pila di sporcizia che può scivolare sotto il tappeto. Scrivo romanzi polizieschi perché il male esiste, disse, come la mangusta con il serpente.
Sei uno scrittore, un giornalista, un medico. Tre professioni molto diverse, sei forse in grado di trovare un filo comune, qualcosa che le unifichi?
- Non sono un giornalista, è una definizione del CV obsoleta da molto tempo. Al massimo sono o ero un avversario politico. Difficile fare altrimenti quando si è governati da dei perversi narcisisti.
Scrivi libri per bambini? Raccontaci qualcosa della tua infanzia.
Mi dispiace dovrete aspettare che traducano in italiano la mia autobiografia Un’educazione inglese. (Sorride)
Raccontaci qualcosa di Patients si vous saviez. Confessions d’une medicin generaliste. È un autobiografia ironica?
- No, è un libro che racconta minuto per minuto la vita di un medico.
Ti piace l’esistenzialismo di Derek Raymond? Ti ha influenzato?
- Si certamente. Io tendo, voi l’avete notato a chiamarlo con il suo vero nome Robin Cook.
Cosa stai leggendo al momento?
- The Humbling l’ultimo libro di Philip Roth, magistrale.
Che cos’è per te la libertà? Un utopia? Uno stato d’animo?
- Una cosa impossibile. In effetti quando voi vi sbarazzerete di Berlusconi?
Che tipo di ricerche fai per i tuoi libri?
- Leggo, guardo films. L’importante delle ricerche per un libro e di dimenticarsene subito. Si cerca di scrivere un libro non di dimostare ad un professore di aver lavorato bene.
Ti piace Leo Malet?
- No.
Raccontaci qualcosa della tua Parigi.
- Parigi è una città dove ho vissuto, dove ho studiato. Ma la mia città preferita è Londra.
Raccontaci qualcosa di La tribu. Esiste una versione cinematografica?
- Si c’è una versione cinematografica prodotta da Yves Boisset del 1990, l’anno che il libro uscì. Ero assistente sul set e lo ricordo molto bene anche se il film è molto datato. Lo era anche alla sua uscita. (Sorride)
A quali progetti stai lavorando?
- Ad un adattamento in fumetto di No pasaran. Al rovesciamento del governo francese. Pranzo.
licenziamentodelpoeta.splinder.com
16 Ottobre 2009
Braccati dalla legge, ma non più innocenti
Su un blog che ha iniziato la sua storia poco meno di sei anni fa parlando di libri, ogni tanto tornare alle origini non può che far bene.
Ho letto Il seme della colpa di Christian Lehmann, e la prima cosa che ho da dire su questo libro è che, anche se esce nella collana Meridianonero (collana, per chi lo ignorasse, di noir illustri e meno illustri) dell’editore Meridiano Zero, Il seme della colpa non è un noir, non ci si avvicina neanche. Non so perché Marco Vicentini, che di Meridiano Zero è il patron, abbia deciso di collocarlo lì; d’altronde occorre dire che per tale collana son passati già diversi libri, talora assai apprezzabili, che del noir non avevano niente o quasi. Scusate il disturbo del geniale Christopher Brookmyre, ad esempio (se non l’avete ancora letto, a proposito, cosa aspettate?), romanzo parodistico quasi sovrabbondante d’ironia e di invenzioni, oppure Lucidi corpi di Harry Crews, incentrato sull’ossessione per la perfezione fisica abbinata all’ingombrante peso di un passato tutt’altro che perfetto. E così, ne Il seme della colpa non troviamo neppure uno dei topoi convenzionali del noir, se non quello dell’uomo accusato di un delitto che non ha commesso, tanto caro ad autori come David Goodis (mi viene in mente lui perché ci costruì sopra La ragazza di Cassidy, romanzo non tanto memorabile per l’intreccio, di per sé banale, quanto per le magistrali scene di fuga che seguono l’incidente dell’autobus). E sempre le scene di fuga e di inseguimento da cardiopalma (unitamente, va detto, a un perfetto Tommy Lee Jones nei panni del tutore della legge che insegue il terrorizzato Harrison Ford) forniscono ragione della bellezza de Il fuggitivo, narrazione cinematografica sul medesimo tema, rampollata da una celebre serie televisiva d’antan. Ma anche il tema dell’innocente braccato dalla giustizia, ne Il seme della colpa, è più sfumato e complesso che nelle narrazioni che ho citato, e in quelle a cui siamo abituati.
Anzitutto, qui l’uomo che viene accusato di aver commesso un delitto non sta scappando, ma si trova già in galera. Dopodiché, noi non sappiamo – fino alla fine del romanzo – se egli abbia commesso il delitto oppure no. E non lo sappiamo perché la vicenda è narrata in prima persona da un amico dell’accusato, Laurent Scheller, che per buona parte della storia fatica a ottenere un colloquio con il prigioniero, il dottor Thierry Salvaing: il quale, quando finalmente si ritrova a parlare con Scheller, è riluttante a parlare dell’episodio che è all’origine all’accusa. Scheller dunque dispone, allo scopo di scagionare l’amico, solo di testimonianze indirette: perlopiù di colleghi e pazienti, nonché della moglie, di Thierry. E alla gran parte di costoro sembra impossibile che Thierry abbia fatto quello che lo accusano di aver fatto: ovvero aver ucciso una delle persone che aveva in cura.
La moglie di Thierry Salvaing si è rivolta a Laurent Scheller affinché la aiuti a far scagionare il marito, che secondo lei è vittima di una macchinazione. Sullo sviluppo del romanzo non vi dico altro, anche perché è un libro che si legge d’un fiato. Io l’ho cominciato mentre aspettavo di prendere un aereo, e l’ho finito che mi trovavo ancora in volo (trattavasi di un volo abbastanza breve).
Mi viene da dire, però, alcune cose sulle idee che, di questo libro, rappresentano la forza e che ne segnano il margine di unicità, rispetto ad altre narrazioni. Abbiamo detto, poc’anzi, che il tema dell’uomo perseguitato dalla legge è un tema classico del noir e della narrativa in genere. Esso contiene in sé un conflitto già bello e pronto a stimolare la nostra attenzione: quello tra la legge (che ha la funzione di proteggerci, e dunque crediamo tendenzialmente buona) e l’applicazione che della legge può esser fatta dagli esseri umani, ch’è immancabilmente imperfetta.
Tuttavia, questo tema è svolto, nella gran parte delle narrazioni, secondo uno sviluppo molto lineare: l’innocente ingiustamente accusato è braccato da ogni parte, e scappa (o, più di rado, langue in prigione).
Frattanto, qualcuno (lui stesso, se ha libertà di azione, o un altro personaggio all’esterno) va in cerca della verità che potrà scagionarlo: dando la caccia, solitamente, al vero colpevole. Esistono su questo tema numerose varianti, inclusa quella – vista in opera nel già citato Il fuggitivo – in cui il poliziotto che dà la caccia al fuggiasco si convince man mano della sua innocenza, e collabora con lui per scoprire la verità. Ne Il seme della colpa, questo tema è visto da un’altra angolazione. Anzitutto, noi – come ho detto – non sappiamo se Thierry Salvaing sia colpevole oppure no. In seconda battuta, la colpevolezza o innocenza del dottor Salvaing sono meno importanti, per Laurent Scheller, di quanto non lo siano convenzionalmente nelle narrazioni di questo tipo. Ciò che Scheller si impegna a fare, di fronte alla moglie di Thierry Salvaing e poi a lui stesso, è scagionare l’amico, con ogni mezzo. Non a caso la donna si rivolge a lui, onde riguadagnare la libertà del marito: e non a un investigatore privato, o a un poliziotto.
Scheller non è, come da tradizione, un personaggio il cui mestiere sia quello di scoprire la verità: ma è uno scrittore e presentatore televisivo (sia pure di programmi di divulgazione medica), bello e carismatico, che ha il potere di creare un can can mediatico attorno al caso di Salvaing, producendo un clima sfavorevole all’accusa. Un simile stravolgimento dei canoni classici è interessante di per sé: ci rende testimonianza di un cambiamento nelle nostre convinzioni. Una volta i personaggi braccati dalla legge credevano che la verità li avrebbe fatti liberi, e si adoperavano affinché essa fosse scoperta: ora credono, consapevolmente o meno, che per essere liberi occorra produrre una versione plausibile della propria innocenza.
Non contano i fatti, ma conta il modo in cui li raccontiamo nel corso del grande show mediatico quotidiano. Possiamo dire, in conseguenza di ciò, che perfino l’eterno personaggio dell’Innocente Braccato Dalla Legge abbia perso la propria innocenza, almeno quella più intima. Un’altra cosa interessante de Il seme della colpa, su cui mi soffermo più brevemente, è la complessità delle finalità umane, così come Lehmann la racconta. Quando Laurent Scheller comincia a muoversi sulla scena per salvare la libertà di Thierry Salvaing, è un personaggio televisivo completamente bollito, in declino da tempo. Il can can mediatico che si produce attorno all’accusa di omicidio gli offre l’occasione di tornare sulla ribalta dei mezzi di comunicazione. E qui l’autore è bravissimo a non farci mai capire, fino alla fine, quanto Scheller abbia accettato di farsi coinvolgere nella faccenda per salvare l’amico, e quanto invece perché il suo ruolo in essa può rilanciare la sua carriera.
Solo al termine del romanzo, quando arriva il colpo di scena finale, le motivazioni di Scheller diventano palesi. E sul colpo di scena finale non posso dirvi niente, come è logico. L’ultima cosa, su cui mi soffermo ancor più brevemente, è il contenuto di denuncia sociale del libro, che l’autore è bravissimo a far passare tra le pieghe del racconto senza mettere pistolotti in bocca ai personaggi: ovvero il fatto che la privatizzazione della sanità sia una porcata delle più immonde. Argomento sul quale io già non avevo dubbi, ma la lettura de Il seme della colpa mi ha dato materiale ulteriore, e di prima qualità, a conferma delle mie convinzioni.
Davide L. Malesi
lideablog.wordpress.com
23 Settembre 2009
Ve lo devo confessare, io ho un problema. Quando entro in una libreria, reparto giallo/noir, inizio a scorrere i molti titoli di costa in cerca della M della Meridiano Zero. Non mi lascio scappare nessun suo gustoso nuovo o vecchio titolo. Chi ha portato in Italia il sopraccitato James Lee Burke? E Victor Gischler (occhio che a Novembre esce Pistol Poets!)? Vogliamo parlare di Angelo Petrella? Io 13,50 euro, se fossi in voi, li spenderei per questo libro. Potreste guadagnarci moltissimo e perdere tre birre al massimo.
Ve le offro io.
lideablog.wordpress.com
19 Ottobre 2009
Il seme della colpa (ed. Meridiano zero) di Christian Lehmann è, semplicemente, un piccolo gioiello.
È uno di quei libri che, una volta letti, difficilmente passa. Perché? Perché fa male.
Perché ti si pianta nella carne come un chiodo e ti scarnifica, velocemente durante la lettura per poi proseguire lentamente una volta finito e riposto nella libreria di casa. Questo libro è una stigmate nella mano del lettore, un promemoria all’uomo sul dolore e la solitudine dell’Uomo.
È un’opera di grande letteratura in grado di riecheggiare sullo sfondo gli scritti imperituri di gente come Camus o Céline.
Francamente è ancora oggetto della mia riflessione se l’aver categorizzato Il seme della colpa come un libro noir, cioè di genere, sia stato per l’opera stessa un vantaggio o uno svantaggio. Da un lato può averne favorito la lettura da parte di lettori "di genere", affezionati, cioè, a tutto ciò che reca in sé mistero, morti ammazzati, verità nascoste, permettendo loro di andare, invece, al di là del genere stesso e gustarsi un libro che magari non avrebbero mai avuto occasione di prendere in mano. Dall’altro lato, diversamente, può aver scoraggiato quei lettori un po’ con la puzza sotto il naso, quelli che reputano il noir come una non categoria letteraria di serie C poco adatta ai loro fini cervelli da intellettuali della domenica e da premio Strega. Si perderanno un’opera che si beve a colazione come un uovo crudo i vari Giordano, Scarpa, Mazzantini, Coelho e newagisti vari. Laurent Scheller è ormai un ex medico, da tempo non pratica più la professione avendo preferito adagiarsi tra i comodi guanciali garantitegli dal successo televisivo del suo programma sulla salute. Una notte, però, la chiamata di Béatrice, la moglie del suo ex amico e collega Thierry Salvaing, lo rigetta in un mondo che sembrava essersi ormai lasciato definitivamente alle spalle.
Thierry è infatti stato arrestato con l’accusa di aver praticato l’eutanasia su una sua pazienze affetta da un tumore in fase terminale. La moglie gli chiede di darle una mano per cercare di scagionare il marito, magari facendo ricorso alle sue tante conoscenze in ambito giornalistico e legale. Laurent si ritroverà in questa maniera coinvolto in un vortice che inesorabilmente lo porrà a confronto con il suo passato e il suo presente, spalancando, contestualmente, un’incognita sul suo futuro.
Come dicevamo sopra Il seme della colpa è soprattutto un libro sulla solitudine. La solitudine di Laurent, terribilmente ammantata di lustrini e paillettes, perso nell’inseguimento di una continua fama effimera tra i nani, le puttane e le ballerine della televisione, avendo rinunciato ormai da tempo alla passione e alla vocazione del suo antico mestiere.
La solitudine di Thierry, figura che rimane sempre sullo sfondo, di cui i personaggi non fanno altro che parlarne per tutto il romanzo ma che compare solo in poche pagine, stritolato tra legge e morale. La solitudine di Béatrice, una donna costretta a farsi carico di problemi e accadimenti che vanno al di là delle sue forze. La solitudine di Daniel, altro vecchio collega e amico di Laurent e Thierry che compare solo nei flashback del protagonista, vittima impotente di poteri per lui troppo forti quali il profitto senza pietà e il cinismo senza ragione. E sullo sfondo i grandi problemi della nostra attualità: l’eutanasia, la riflessione su cosa sia l’umano, lo strapotere feroce ed egoista delle case farmaceutiche, il mondo dorato e accecante della televisione, la provincia minuta, le persone semplici veri motori della Storia minuta di tutti i giorni, il senso da dare alla proprio vita attraverso l’onesto lavoro quotidiano, il significato di un mestiere – quello del medico – che molti vorrebbero essere una missione, ma che l’abitudine trasforma soventemente in un mero mercenariato egoista e carrieristico.
Il libro ha solo 158 pagine, un piccolo mazzo di carta che però aumenta progressivamente il suo peso con il progredire della lettura a causa del crescente peso specifico derivato dagli argomenti trattati e qui solamente accennati. "Il seme della colpa" è un libro tanto breve quanto denso. In un precedente post intitolato "Prossimamente in libreria: un poker d’assi!" e pubblicato su Pegasus Descending, in cui per la prima volta parlavo di questo romanzo, concludevo dicendo che "Io 13,50, se fossi in voi, li spenderei per questo libro. Potreste guadagnarci moltissimo e perdere tre birre al massimo. Ve le offro io". Beh, credo che dopo aver letto questo libro, se seguirete il mio consiglio, le tre birre me le offrirete voi.
Andrea Pelfini
P.S. Una menzione speciale per la casa editrice Meridiano zero, capace di tirare fuori dal cappello un altro grandissimo autore finora passato inosservato in Italia e di abbinargli, per il suo primo romanzo, una copertina semplicemente perfetta e capace come poche di riassumere in una immagine il contenuto e le sensazioni del libro intero. A me ha ricordato le struggenti marine di Sandro Luporini.
linsolito.net
8 Novembre 2009
L’eutanasia come scrupolo morale
I mass media come specchio in cui si riflette la società Un medico che ha smesso di praticare e che ora frequenta i set televisivi, anche se il successo di un tempo sta svanendo. Un vecchio amico in difficoltà, accusato di eutanasia.
La moglie dell’amico, memoria di una vita fa, che chiede aiuto sperando che il volto della tv possa salvare chi pare già condannato dall’opinione pubblica e dalla legge. Questo, in breve, il triangolo umano che compone Il seme della colpa di Christian Lehmann, a sua volta medico prima di essere scrittore, apprezzato anche per bambini, e giornalista. Il seme della colpa è a partire dal titolo, sintomatico, un nero dolente.
Un romanzo importante, che con toni pacati si fa portatore di istanze collettive, non necessariamente contingenti al periodo e ai luoghi presi in esame. Il dilemma etico parla con il cuore in mano al lettore, senza pretese di verità o di oggettività. La storia sviscera ogni possibile dubbio morale e non pretende di dare risposte.
Nel momento in cui potrebbe ergersi a demagogo, Lehmann sceglie infatti la via più intelligente, quella dell’interrogativo aperto mascherato da finzione di genere. La trama gialla – o post noir, per usare un termine da poco in voga che qui calza benissimo – è parte di un libro breve che riflette sull’eutanasia e sul potere dei mass media.
Non è un pamphlet di ampio respiro, piuttosto una interiorizzazione di ciò che influenza l’animo umano. Ed è in questa introspezione che il dialogo del protagonista con se stesso si fa noir. Il dottore che non ha risposte è il più fallibile degli animali asociali. Un mostro, quando la sua figura è deformata dallo specchio televisivo, un martire quando si immola in una battaglia già persa facendo credere a un amico che sia un atto di generosità. La scrittura è acuta, la storia forse non particolarmente originale, ma coinvolgente.
I personaggi fanno la differenza: le loro interazioni giocano sulle parti e sul loro potenziale valore in una strategia ben orchestrata. Il seme della colpa, che poi potrebbe chiamarsi anche il seme della violenza o il seme della morte o il seme della follia, per come riesce ad abbracciare uno spettro ampio di emozioni dolorose, è un ottimo esempio di rilettura sociale del presente attraverso un racconto accorato del passato che sfocia in un’ipotesi cinica di futuro.
Matteo Di Giulio
mangialibri.com
9 Novembre 2009
Da medico anonimo appassionato del proprio lavoro, Laurent Scheller è diventato una star.
Ha pubblicato dei bestseller, condotto in TV un seguitissimo programma divulgativo sulla medicina. La sua unica preoccupazione, ora, è di mantenersi a galla nel successo, cosa non semplice in un sistema di notorietà usa e getta.
L’imprevisto, come ogni imprevisto che si rispetti, arriva di notte, sotto forma di una telefonata che risveglia i suoi antichi fantasmi e ribalta le sue priorità attuali. A chiamarlo è Béatrice, la moglie di Thierry Salvaing, amico e collega che non vede più da anni. Dalle sue frasi singhiozzanti e smozzicate Laurent apprende che Thierry è stato messo sotto custodia cautelare con l’accusa di aver aiutato a morire una paziente divorata dal cancro.
E adesso Béatrice lo prega di far uscire il marito di prigione avvalendosi delle sue numerose conoscenze. Sorprendendo prima di tutti se stesso, Laurent accetta. Parte per Villers, la città di provincia dove Thierry ha lo studio, si installa in casa sua, apre al posto suo l’ambulatorio, visita, riempie moduli, compila ricette e intanto muove i suoi contatti. Parte la macchina mediatica, con le interviste, i passaggi al telegiornale. Ma per chi si sta mettendo in gioco Laurent?
Per Thierry, in memoria dei vecchi tempi? Per la sua affascinante consorte? Per scontare il tradimento nei confronti di un altro amico, che ormai non può più assolverlo? O per rinfrescare la sua popolarità ormai appannata? Comunque sia, la verità verrà fuori. Ed è noto a tutti che la verità spesso fa male, molto male… Sembra che la medicina stimoli il talento letterario. Lo ha fatto con Cechov, Conan Doyle, Cronin, Céline, Bedeschi, Tobino, Crichton. Anche Christian Lehmann è un medico, oltre che uno scrittore, e parla (si presume) con cognizione di causa della durezza della realtà ospedaliera, dell’insensibilità di certi primari senz’anima e della fatica quotidiana di certi dottori che invece l’anima la danno tutta quanta (e se la dannano pure) per curare i malati, anche se purtroppo non sempre basta.
Parla anche di eutanasia, tema di quelli che arroventano il dibattito (e questo già nel 2002, anno in cui il romanzo è uscito in Francia, prima del polverone scatenato dal caso Englaro) e non risparmia nemmeno la denuncia dell’assenza di scrupoli dei colossi farmaceutici e dei loro prodotti dannosamente efficaci. Questo però è un noir, non un pamphlet, e quindi al centro della dinamica narrativa restano i moventi e la psicologia dei personaggi. Ossia di Thierry, che non si sa se abbia commesso oppure no il reato di cui è incriminato.
E ovviamente di Laurent, che non si capisce se voglia redimersi da un passato di cui non può andare troppo fiero. O se invece intenda spremere più che può la possibilità di tornare sotto i riflettori, dopo essere rimasto per un pezzo lontano dalle luci della ribalta. Lehmann usa la penna come un bisturi per scrivere una storia veloce, corrosiva e tagliente, che non risparmia nessuno, visto che nessuno in fondo è innocente. E che riserva alla fine una sorpresa amara, troncando con un colpo netto l’illusione di redenzione. Perché quando il seme della colpa fa radici non si può più estirparlo. Continua a crescere nel cuore come un bubbone infetto, inghiottendo le speranze di riscatto.
Maria Ferragatta
mauriziocrispi.blogspot.com
17 Dicembre 2009
I diversi volti della Medicina contemporanea nel crudo romanzo di Christian Lehmann
Per i tipi di Meridiano zero e nella traduzione di Giovanni Zucca, ha visto la luce in edizione italiana Il seme della colpa del francese Christian Lehmann, inquadrato all’interno di una collana di noir, anche se – a mio avviso – ha poco del noir in senso stretto e sembra possedere piuttosto le qualità del romanzo-denuncia che, in questo caso, tocca i temi scottanti dei diversi volti della Medicina contemporanea divisa tra aspetti umanitari e pratiche di potere e violenza che ben poco hanno a cuore la salute del paziente, se non per "vetrina".
La storia di Lehmann, egli stesso medico (pediatra) oltre che scrittore, mostra infatti il conflitto tra mondi diversi ed incompatibili nella pratica della Medicina odierna. Da un lato, vi è lo zoccolo duro del lavoro silenzioso, senza gloria e con molti oneri, dei medici di famiglia che, se non si lasciano prendere dalla semplice burocratizzazione del proprio ruolo, sono costretti spesso a farsi carico di situazioni difficili e disperate, specie nel campo delle malattie degenerative di stadio avanzato e in quelle terminali. Dall’altro, si riconosce in modo inequivoco la pratica della medicina come esercizio di potere, tipica di certi cattedratici e dei primari ospedalieri (almeno, di alcuni di essi), in cui ciò che conta è la salvaguardia del proprio ruolo (tutelarsi sempre le spalle e il c***), e la possibilità di mietere riconoscimenti e benefit vari, mentre i loro collaboratori sono spesso gettati allo sbaraglio, costretti ad assistere impotenti a situazioni difficili o a dover fare salti mortali per sopperire a gravi carenze strutturali. Infine, la terza realtà è quella scintillante della Medicina mediatica, dei palinsesti che si occupano di problematiche mediche, di tutela della salute e/o di prevenzione, oppure di "casi" di malasanità. È questo un mondo scintillante (in cui ciò che si presenta è sempre perfetto e all’avanguardia), ma nello stesso tempo crudele e spietato, quando va alla ricerca dei "casi" da esporre al grande pubblico (il battage mediatico attorno al caso Englaro ne è la prova). Spesso i paladini di queste trasmissioni sono medici (specialisti e non) che hanno abbbandonato – o significativamente ridotto – la loro pratica professionale per entrare nell’universo mediatico. E spesso si tratta di personaggi pronti a piombare come avvoltoi (o squali) sulla loro preda, che viene considerata cadavere ancora prima di esserlo, esibendo per far ciò una falsa umanità.
Spesso le apparenze ingannano e, in tali contesti, i processi mediatici vengono celebrati, prima che un un legittimo verdetto di colpevolezza sia emesso e provocando, a volte, degli effetti di linciaggio morale. Prendendo spunto da un "presunto" caso di eutanasia, il romanzo di Lehmann ci mostra appunto questi intrecci in tutto il loro turpe squallore, gettando luce – tuttavia – sulla generosità e l’agire disinteressato di alcuni altri. Maurizio Crispi