Breve storia delle copertine che hanno fatto l'italia

Breve storia delle copertine che hanno fatto l'italia

Recensione apparsa su Repubblica il 27 Maggio 2012

di Cristiano De Majo

Per le case editrici italiane, rinnovare periodicamente la grafica di copertina e quindi la propria immagine, è diventato un obbligo. Ma, se va male, la permanenza del restyling può essere molto breve. La distribuzione impone la dittatura della novità e il lettore finisce per essere disorientato. Anima in pena, si aggira nelle librerie, tra copertine che sembrano locandine di film splatter e plagi che si autoriproducono (i tuffatori, le adolescenti con occhi di ghiaccio…).
Dov’è finita l’invidiabile tradizione modernista della grafica editoriale italiana, nata negli anni Cinquanta e cresciuta robustamente fino alla fine dei Settanta? Chi l’ha raccolta? Le geometrie rigorose di Max Huber per De Agostini, la serialità Bauhaus di Enzo Mari per Bollati Boringhieri, i sogni psichedelici di John Alcorn per BUR, l’elegantissimo studio sui font di Bob Noorda per Vallecchi, le illustrazioni surrealiste, tra Dalì e Magritte, di Karel Thole per Urania, il razionalismo monocromo di Bruno Munari per la Piccola Biblioteca Eunaudi sono alcuni degli esempi di punta di questa tradizione. Tutti comunque accomunabili per essere “modelli forti” di grafica editoriale. Espressione che indica una prevalenza del contenitore rispetto al contenuto (il tema e l’oggetto del libro).
In presenza di un modello forte, il designer, più che essere un traduttore grafico del contenuto del romanzo o del saggio, è un vero e proprio coautore; la firma che, da un lato, attribuisce al marchio editoriale una riconoscibilità e, dall’altro, trasforma il libro in un oggetto che è qualcosa di più delle sue pagine stampate: un prototipo emotivo da ammirare per la sua bellezza e a cui affezionarsi. Negli ultimi anni, i grandi marchi hanno in maggioranza rinunciato al modello forte, con le illustri eccezioni di Adelphi e, in parte, di Einaudi. Così il testimone è stato raccolto dalle piccole-medie case editrici. Tra tutte le più illuminate hanno capito che per sopravvivere è fondamentale costruire una relazione estetica con il lettore e, nell’era della probabile invasione degli e-book, puntare sul valore aggiunto dell’oggetto cartaceo, invece di umiliarlo.
Per esempio, Isbn, ha optato per un modello molto forte, improntato a un riconoscibilissimo minimalismo alfanumerico. In seguito, ha allargato i suoi orizzonti abbandonando la coerenza assoluta, ma le sue nuove copertine, disegnate da Alice Beniero, hanno vinto gli European Design Awards del 2011. Ha esordito Sur, costola latinoamericana di minimum fax, con uno dei migliori progetti degli ultimi anni. Ideato da Riccardo Flacinelli, di chiara ispirazione vintage − richiama la titolistica di Saul Bass – non solo nel disegno, ma anche nella scelta del cartonato senza sovraccoperta. Da segnalare, infine, la rinnovata grafia di Meridiano Zero, acquisita da Odoya, con un progetto del collettivo Meat. Molto caratterizzato e singolare nella sistemazione del titolo, che sembra scivolare via dalla pagina. Una dimostrazione che è sempre più difficile il compito per chi cerca di coniugare bellezza e identità, originalità e rilevanza.


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Pubblicato: 07.02.2013
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